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Tra ignoranza e malafede, per l’Occidente… questo è l’Islam

La stampa italiana...
La stampa italiana…

di Salvo Ardizzone

La notizia è ormai nota in ogni dettaglio; riassumendola in breve, nel centro di Parigi due uomini hanno fatto irruzione nella sede del settimanale satirico Charlie Hebdo, dov’era in corso la riunione di redazione, e hanno fatto una strage; nell’attacco, durato una manciata di minuti, hanno trovato la morte: un uomo delle pulizie sulle scale d’accesso; otto giornalisti (in pratica l’intera redazione), l’agente messo di scorta al direttore e un visitatore, all’interno del giornale; un altro agente incontrato per strada, ferito e finito freddamente.

Conclusa l’azione, i due si sono allontanati con un terzo complice rimasto in macchina. Durante la fuga hanno provocato un incidente ma con calma e sicurezza hanno sequestrato un’altra auto prima di sparire definitivamente in direzione del XIX Arrondissement, una banlieue dove la polizia entra di rado.

Da una carta d’identità smarrita (piuttosto strano da parte di gente che ha dimostrato grande professionalità) la polizia è risalita a quella che dovrebbe essere l’identità dei terroristi: sarebbero (e il condizionale è d’obbligo) di nazionalità francese, franco–algerini cresciuti nelle banlieue, con un curriculum di piccoli criminali, poi andati fra i terroristi in Siria e forse in Mali. Tuttavia, già l’identificazione d’uno dei tre, il più giovane, è franata: s’è presentato spontaneamente alla polizia e il suo alibi regge. In ogni caso è partita una colossale caccia all’uomo, anche se una prima identificazione del covo, con tanto d’assedio e irruzione delle teste di cuoio, s’è dimostrata una falsa pista.

Fin qui la cronaca di un massacro bestiale eseguito a freddo, con calma e determinazione, che non ha e non può avere alcuna parvenza di giustificazione. Il fatto è che da quando le agenzie hanno battuto la notizia, è partita immediatamente una colossale campagna di condanna e riprovazione indiscriminata contro l’Islam, alimentata e cavalcata da media, politici e sedicenti analisti, che hanno fatto e fanno a gara per dipingerlo nei termini peggiori, come matrice di violenza, oscurantismo, arretratezza e bigotta ignoranza.

Dinanzi a un fenomeno così massiccio e generale, lasciateci fare alcune considerazioni sulla vicenda.

1) Intanto sui fatti, che di aspetti singolari ne hanno proprio tanti: quelli che hanno compiuto il massacro erano professionisti, lo dice chiaramente la dinamica dei fatti, la freddezza dell’esecuzione, la capacità di reagire con calma e razionalità agli imprevisti (la scarpa recuperata, l’auto sequestrata dopo l’incidente, l’eliminazione dell’agente sopravvenuto dopo), e tutto senza un gesto o uno sparo di troppo. Pensare che gente così, non solo porti con sé la propria carta d’identità durante l’operazione, ma addirittura la “dimentichi” nell’auto utilizzata per il colpo, ci lascia quanto meno perplessi.

2) Il profilo dei soggetti subito additati come colpevoli è perfetto, francamente anche troppo; ci ricorda i tanti colpevoli fabbricati in laboratorio ai tempi della “strategia della tensione”. Di uno, come detto, è già franata l’identificazione.

3) Veniamo ora al cuore del problema: la demonizzazione dell’Islam, identificato come una religione di violenza, nel cui seno germogliano i semi maledetti del terrorismo. L’abbiamo detto molte volte e lo ribadiamo ancora, senza preoccuparci d’andare contro le becere “certezze” di chi lo urla per ignoranza o interesse: l’Islam non ha nulla a che vedere con quella gente, l’Islam è tutt’altra cosa. Quelli sono solo e soltanto terroristi, assassini prezzolati come gli altri che si vendono in Iraq, in Siria e in tutte le altre parti del mondo in cui svolgono il loro miserabile “lavoro”. Dire che si tratti di espressioni dell’islamismo perché urlavano “Allah Akbar!” è semplicemente ridicolo, tanto quanto lo sarebbe definire gli ndranghetisti espressione del cattolicesimo perché usano santini nelle loro affiliazioni. Allo stesso modo, nulla c’entrano con l’Islam le centinaia di madrasse e di moschee finanziate dai Sauditi, rette da sedicenti imam pagati da Riyadh perché ne facciano un bacino di reclutamento fra sbandati ed emarginati, per le proprie guerre per procura suscitate nel mondo per i propri più sporchi interessi.

4) L’ondata d’isterica islamofobia, pompata oltre ogni decenza da troppi media e cavalcata da politici in cerca di consenso, irresponsabili, limitati o semplicemente interessati, ci ricorda troppo il clima respirato all’indomani dell’11 settembre, che permise l’inizio delle sciagurate imprese afghane e irachene. Ciò che temiamo è che, sull’onda emotiva di questo, e speriamo no, d’altri atti simili, s’inauguri un altro periodo di “esportazione della democrazia”, magari in nome d’una sicurezza minacciata, in Libia, in Siria o altrove.

5) Se vogliamo individuare la matrice di questa guerra mediatica e, soprattutto, chi ci guadagna, dovremmo guardare a Washington, che si riappropria delle vesti di paladina dell’Occidente minacciato, autolegittimando futuri interventi di “pacificazione”; a Tel Aviv, che così fa scordare o giustifica i suoi crimini come lotta ai “terroristi” e ai suoi fiancheggiatori; a Riyadh che, al riparo del suo mare di petrolio, addita agli altri gli obiettivi da colpire per mantenere un sistema di potere.

Per concludere, e limitando il nostro sguardo all’Italia, si resta di stucco dinanzi alle deliranti dichiarazioni di giornalisti e politici; d’accordo, per alcuni si tratta solo di voglia di narcisistica visibilità, per altri, come Salvini, sarà il cinico quanto miserabile fine di lucrare facili consensi sulle paure suscitate nella gente a fargli vomitare quelle stupefacenti idiozie. Per molti, però, l’entusiastica adesione alla crociata anti islamica è da cercare altrove, nella sudditanza agli ordini di scuderia emanati dai centri di potere che ci guadagnano. Che, vedi caso, sono gli stessi che qui da noi hanno da sempre spadroneggiato. 

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