Terremoto Ischia, la solita vergogna tricolore
Non è passato nemmeno un anno dal terremoto che ha devastato il Centro Italia, che la terra ha tremato nuovamente. Questa volta è toccato ad Ischia, isola che vive prettamente di turismo e che la vede protagonista di un triste primato. Su cinquantamila abitanti, ci sono state ventisettemila richieste di condoni. Anche la casa che è crollata, quella che ha risparmiato la vita ad un’intera famiglia, era in attesa di un condono. Insomma, che siano i giornalisti ad essere sciacalli, stando alle parole del sindaco di Casamicciola, lo sport più praticato dell’isola come nel territorio nazionale, è quello di costruire in barba alle regole e poi attendere, come manna dal cielo, il condono.
Come sempre accade è la commozione a farla da padrone, il che lascia in disparte la razionalità che è quello che servirebbe per analizzare una situazione che, definire incresciosa è veramente poco. Ogni volta che un evento del genere, da quello devastante di Amatrice a questo leggero di Ischia, si palesa, si manifestano i sintomi che uno psichiatra definirebbe di schizofrenia.
Vi sono, generalmente, due fronti contrapposti quelli che da nord (non esente da abusi edilizi), tacciano quelli del sud (boom di abusivismo) di menefreghismo e di godere dei regali della politica. Come se la politica facesse distinzioni tra abusivismo del nord e quello del sud.
Da qui nasce la polemica di una politichetta d’accatto che si incentra non sull’analisi ma sulle colpe da rinfacciare all’avversario politico. Il sintomo di schizofrenia si palesa nel momento in cui la popolazione si sente sia vittima che irresponsabile di quanto accaduto. Se si analizzasse l’abusivismo edilizio, si potrebbe benissimo vedere come esso è uno delle radici principali delle problematiche italiane. Si potrebbe notare e trovare il periodo storico in cui, la legge è diventata meno legge. Ne scriveva Italo Calvino ne “La speculazione edilizia”, in cui si accennava al miracolo economico degli anni sessanta in Liguria, altra terra martoriata da smottamenti, alluvioni e abusivismo.
E’ in quel periodo che nasce il termine, ancora oggi in voga, ed utilizzato da quelli che sono nuovi e diversi da tutti di “abusivismo di necessità”, termine che verrà rinvigorito dal governo Craxi. Nel 1985, dopo il terremoto nell’Irpinia, il governo socialista vara i primo mega condono, risultato un milione di nuove case abusive sanate in dieci anni. Nel 1994 è il momento del governo Berlusconi che riapre i termini della maxisanatoria; una nuova casa fuorilegge ogni tre. Nel frattempo, i terremoti di media entità fanno danni enormi: Umbria 1997, Molise 2002. Nel 2003, due anni dopo la vittoria alle elezioni, il governo Berlusconi, travestendo la porcata con un vestito da sera: “Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo”, stanzia un nuovo condono. Vai con gli applausi e la felicità di migliaia di abusivi.
Nel 2009 si disquisisce di un fantomatico Piano casa, ennesima trovata di Berlusconi per favorire gli elettori che hanno abitazioni abusive. Nell’Aprile di quell’anno, però, un devastante terremoto nell’Abruzzo fa saltare il banco che costa 308 morti. Nel 2012, il terremoto in Emilia Romagna e nel 2016 nel quadrilatero Lazio-Umbria-Marche-Abruzzo. Anche lì cordoglio, lacrime di coccodrillo e solite marce macabre dei politicanti dinnanzi alle bare e alle macerie.
Sono stati molteplici gli attori che hanno innescato l’attuale deriva. Una deriva tutta italiana in cui l’eccezione diventa la regola da seguire. Se si continuerà a cercare il mero consenso elettorale blaterando di abusivismo di necessità, come se 27mila abitazioni (il caso di Ischia) fossero davvero necessità, se si continuerà a ragionare in mero calcolo, allora, niente è destinato a mutare. La terra continuerà a tremare, come è sempre successo e come accade di continuo in nazioni come il Cile, il Giappone o come accade in California. Lì una seria politica ha evitato che si creassero le macabre marce dei politicanti dinnanzi alle macerie a alle bare. Qui, in questa Italietta disastrata, la passeggiata del politico, tra le macerie, è diventata costume.
di Sebastiano Lo Monaco