Termini Imerese: la truffa Blutec camuffata da speranza
Quando vi capiterà di vedere una Lancia Y, modello secondo della serie, pensate a settecento operai che il 24 Novembre del 2011 vissero il loro ultimo giorno di lavoro. Nell’istante in cui passerà davanti ai vostri occhi sappiate che è stata proprio quella l’ultima vettura prodotta nello stabilimento Fiat di Termini Imerese. Una fabbrica che si potrebbe definire sfortunata, vittima di nuove leggi di mercato, o forse della concorrenza spietata, o di politiche inadeguate, oppure ostaggio di una terra, il sud, che paga sempre un conto più salato rispetto a molte altre.
Dal 1979 in poi era considerata un modello produttivo: i 1.500 dipendenti che lavoravano alla produzione della Panda erano diventati 3.200 operai alla fine degli anni ottanta. La crisi inizia nel 1993 quando per molti dipendenti inizia la cassa integrazione, le vendite diminuiscono e i lavoratori si riducono a 1.900 occupati. I componenti indispensabili per l’assemblaggio delle vetture erano prodotti al nord Italia, e ciò significava ulteriori spese per il trasporto degli stessi al sud.
Nel 2006, l’allora amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, diceva senza mezzi termini che produrre un’auto in quello stabilimento del profondo sud costava mille euro in più rispetto a qualunque altro stabilimento d’Italia; erano necessari investimenti e interventi sulle infrastrutture per ridurre i costi logistici, ma nulla di tutto questo fu mai compiuto.
Una fabbrica “sfortunata”
Solo che, spesso, la sfortuna non c’entra, è solo uno dei veli che ci mettiamo sugli occhi per filtrare la realtà, per non vedere il marcio che ci circonda e tenere lontano dai pensieri il luogo comune del sud maltrattato, sfruttato e derubato del proprio futuro. Non vogliamo più raccontarcela neppure noi siciliani questa storia vecchia, ci prendiamo tutti i “fannulloni” che ci vogliono affibbiare, ce li meritiamo, forse.
Certo, in qualunque settore del mondo del lavoro c’è e ci sarà sempre il furbetto di turno che vuole lavorare meno, proprio come il dipendente che, invece, è fiero del proprio mestiere e lo porta avanti con dignità. Ad ogni modo, esiste, ed è una maggioranza, la Sicilia della gente onesta che si lascia scivolare addosso tutte le congetture e alza lo sguardo per guardare avanti.
Quando a Termini Imerese approda la Blutec Spa nella persona di Roberto Ginatta, si accende una speranza per tutti i lavoratori.
Tutto ha inizio il 23 Dicembre del 2014: il Presidente del Consiglio Matteo Renzi annuncia, con grande entusiasmo, l’avvenuta firma dell’accordo. L’uomo venuto dal Nord salverà l’impianto del Sud, riqualificherà, attraverso corsi appositi, i dipendenti, i quali sono chiamati a guardare al futuro costruendo auto ibride. “Finalmente i 760 lavoratori di Termini Imerese, le loro famiglie e un intero territorio possono guardare con fiducia al futuro”, così si esprimeva con soddisfazione il Ministro Federica Guidi.
Da quel momento si programma il ritorno in fabbrica di tutti i dipendenti. Secondo il piano di rilancio, una prima fase è incentrata sulla produzione nello stabilimento della componentistica, la seconda prevede la progettazione di due modelli di auto ibride. L’investimento è sostanzioso: 95,8 milioni di euro, di cui settantuno concessi da Governo e Regione Sicilia. Nel Dicembre del 2016 arrivano i primi 21 milioni di euro.
Qualcosa, però, non funziona
Il grande miracolo di rinascita non avviene. L’agenzia per gli investimenti e lo sviluppo d’impresa Invitalia (partecipata al 100% dal Ministero dell’Economia) non riceve nei tempi previsti il rendiconto delle spese effettuate dalla Blutec, e anche quando finalmente i rendiconti arrivano, i conti non tornano. Verifiche della Guardia di Finanza all’interno degli uffici dello stabilimento confermano l’assenza di un sofisticato e costoso software (cifra da un milione di euro) che compare fra le voci di spesa. Gli stessi dipendenti confermano di non averlo mai utilizzato, tanto meno di averlo avuto a disposizione nei computer dello stabilimento.
Le risorse erogate dallo Stato, ben 16 milioni di euro, non finiscono nello stabilimento di Termini Imerese, ma sui conti di altre tre società del gruppo Metec, di proprietà al 100% di Roberto Ginatta. Questo è quanto mette nero su bianco il Gip di Palermo, Stefania Gallì, nella sua ordinanza, accusando l’amministratore delegato Cosimo Di Cursi e il presidente Roberto Ginatta di “malversazione ai danni dello Stato”.
Ora si sospetta che i vertici della Blutec non avessero mai avuto la minima intenzione di rilanciare lo stabilimento, ma solo di mettere le mani sul bottino.
“Hanno dimostrato di saper agire con lucidità e pervicacia”, aggiunge il Gip. Una condotta, quella di Ginatta e Di Cursi, ancora più spregevole poiché finalizzata a depredare di risorse e speranze un territorio già mortificato, tutto ciò senza tenere conto delle vite e delle famiglie che su questa rinascita ci dovevano credere per forza, per questioni di sopravvivenza.
di Anna Lisa Maugeri