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La Francia rifiuta l’austerità e prova a fermare la colonizzazione tedesca dell’Europa

di Salvo Ardizzone

Helmut Kohl, che può essere criticato per molte cose ma che aveva la stazza dello statista che riuscì a riunificare il suo Paese, a dispetto degli umori dei suoi compatrioti soleva dire: ”Voglio una Germania europea, non voglio un’Europa tedesca”. Angela Merkel, che statista non è e non ci prova neppure, abituata a galleggiare sul consenso assecondando la “pancia” degli elettori, ragiona in modo opposto; rinnegando i principi di chi l’Unione Europea voleva costruirla, intende unificare il continente attraverso un unico modello di sviluppo, quello che piace a Berlino e alla Bunsebank. Non importa se il mix di bassi consumi e alte esportazioni abbiano creato tensioni e squilibri altissimi, il cui costo è stato cinicamente scaricato su tutta l’Eurozona, la ricetta era e deve rimaner quella; ma ora il meccanismo s’è inceppato e la Germania s’è praticamente fermata.

Il fatto è che quel modello interpreta l’ottusa quanto miope visione non solo dell’elettore tipo teutonico, quanto di vasta parte del suo ceto imprenditoriale e dirigente, così Frau Merkel si guarda bene dall’andar contro corrente, e utilizza tutto il peso economico e politico tedesco da un canto per far pagare agli altri Paesi i costi delle disfunzioni create dal suo sistema, dall’altro per egemonizzare l’Europa.

Già Belgio, Lussemburgo, Austria, Repubblica Ceca e Paesi Baltici la seguono a prescindere e Olanda, Finlandia, Polonia sono per gradi diversi nella sua orbita; fin qui si tratta di Sistemi Paese che hanno di proprio diverse affinità con la Germania, quello che ci saremmo aspettati di meno è che la Spagna, rinnegando storia, cultura e le sue naturali vocazioni, si facesse letteralmente colonizzare con la piena acquiescenza del governo di Mariano Rajoy, finendo per essere il più prono d’Europa ai desideri di Berlino.

La cosa è talmente assurda ma significativa, da meritare una parentesi a parte: Madrid, non solo ha rotto quello che poteva essere un solido fronte euro-mediterraneo capace di compensare il peso di Germania & C., ma ha abbracciato acriticamente le ricette di quest’ultima fatte di salari bassi, contratti di lavoro iperflessibili tagliati su misura per gli industriali e produzione orientata all’esportazione. In pratica ha scaricato il peso del riacquisto della competitività sui lavoratori, sognando di divenire una seconda Germania, nella realtà avviandosi ad essere la Cina d’Europa ma prima che per la crescita, per le pessime condizioni di vita e di lavoro. Ha vantato un +0,7% (vedi il successo!) ma a prezzo di costi sociali spaventosi e mantenendo un deficit stratosferico (su cui Berlino chiude entrambi gli occhi); ha però permesso alla Merkel di sbandierare quella crescita striminzita come conferma delle sue ricette.

Che la Germania consideri la Spagna una colonia è testimoniato da tanti fatti, citandone solo alcuni, le aziende tedesche hanno canali privilegiati per assumere i disoccupati spagnoli, come le banche teutoniche per i loro investimenti in Spagna, e quando i loro crediti sono stati in pericolo, la Merkel ha imposto a Madrid un umiliante salvataggio da 100 Mld per il sistema bancario. Una sovranità limitata, insomma, ed è quello il sistema che vorrebbe esportare in tutto il Continente.

Ora però è avvenuto un fatto nuovo che potrebbe avere conseguenze dirompenti: Parigi per molto tempo ha inseguito il sogno di poter stare al fianco di Berlino nel dettare le regole in Europa. Lo è stata, ma da tempo non è più così. Il 30 settembre il suo debito pubblico ha superato la soglia psicologica dei 2mila Mld, la disoccupazione cresce e l’economia langue. In un quadro simile, con gli elettori in rivolta e un disavanzo assai lontano dal fatidico 3%, rientrare nei parametri, come invocato dai soloni tedeschi, sarebbe stata pura macelleria che l’avrebbe scaraventata nella recessione con le piazze in rivolta. Così ieri, presentando la Finanziaria 2015, il Ministro delle Finanze Sapin ha detto chiaro che “la Francia rifiuta l’austerità e, per rimettere il Paese sulla strada giusta, non rispetterà i parametri fino al 2017, adattando la riduzione del deficit alla situazione economica del Paese”. In fondo semplice buon senso.

Vi risparmiamo i tanti dati e percentuali con cui ha infiorato il discorso, resta il fatto di una sconfessione secca che a metà ottobre, quando la Commissione Ue dovrà vagliare la manovra che la Francia sta compiendo, si tradurrà in uno scontro feroce. Parigi è già due anni che fa melina, mantenendo vistosi sforamenti tacitamente accettati da Berlino per tenerla sotto scopa, solo ora, con l’acqua ormai alla gola, sembra aver deciso di far sul serio e al contempo di far saltare il banco. Il fatto è che se lo si permette a lei, e a questo modo, come si potrà costringere gli altri a non farlo? S’aprirebbe una faglia verticale che spaccherebbe in due la Ue, archiviando i sogni di Frau Merkel di regnare su un’Europa tedesca.

Per questo s’è subito aperto il fuoco su Parigi da parte della Cancelliera e dei suoi vari scudieri, ma già il 30 scorso una voce autorevole quanto inaspettata, quella del finlandese Olli Rehn, nel sollecitare Italia e Francia a compiere le riforme necessarie, intimava al contempo alla Germania di incrementare i consumi e gli investimenti: un anatema per le orecchie di Frau Merkel.

Il radicale cambio di posizione francese, dettato dalla forza dei fatti, potrebbe essere l’innesco di una ribellione di molti allo strapotere di Berlino. Come evolverà la situazione e quali sviluppi prenderà e troppo presto per dirlo; è un fatto che troppi Sistemi Paese stanno morendo schiacciati da politiche assurde, e la stessa Berlino sembra arrivata al capolinea.

A tutta la vicenda mancherebbe solo l’elemento grottesco di una Germania che, dopo aver sfruttato tutta l’Eurozona a piacimento (trattandola appunto come una colonia), si sgonfiasse sui propri errori colossali imputandone la colpa agli altri Paesi. L’ennesima riedizione della “pugnalata alla schiena” a cui addossare i propri fallimenti.

A proposito di fallimenti, un’ultima notazione: un simile quadro potrebbe aprire spazi enormi al Sistema Italia, sia politici che negoziali; basterebbe avere le idee chiare sugli obiettivi da perseguire e sulle vie per ottenerli. Appunto, quello che Roma ha sempre dimostrato di non avere.

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