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Al Qatar il primato dello sfruttamento dei “nuovi schiavi”

di Manuela Comito

Un recente rapporto dell’International Trade Union Confederation, riportato dal sito Deadspin e da Alalam News Network, ha definito il Qatar “un Paese senza coscienza”. Lo studio ha preso in esame 1,4 milioni di lavoratori migranti che vivono nel Paese, mettendone in luce le precarie condizioni di lavoro e le drammatiche condizioni di vita. Molti di questi lavoratori sono impiegati nella costruzione delle infrastrutture che serviranno per i Mondiali del 2022.

L’Ituc ha stimato che più di 4mila lavoratori migranti moriranno prima del 2022, stima basata sui tassi di mortalità denunciati dalle ambasciate all’interno del Paese. L’ambasciata del Nepal ha fornito dati secondo i quali nel 2012 sono morti 169 lavoratori, nel 2013 i morti sono arrivati a 191; complessivamente, dal 2010 sono deceduti più di 400 lavoratori nepalesi in Qatar.

Altrettanto allarmanti i dati forniti dall’ambasciata indiana, che ha denunciato i decessi di 239 lavoratori nel 2011, 237 nel 2012 e 218 nel 2013. Secondo l’Ituc, le cause di queste morti vanno imputate alle terribili condizioni di lavoro a cui i migranti devono sottostare. Nel rapporto i racconti in prima persona dei migranti si sostituiscono alle fredde statistiche, delineando un quadro dettagliatissimo di una situazione agghiacciante: decine e decine di lavoratori stipati in alloggi angusti, quasi senza cibo e senza acqua potabile, in condizioni che definire “disumane” sarebbe usare un eufemismo.

L’International Trade Union Confederation ha criticato anche i recenti tentativi del Qatar di migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei migranti definendoli una “farsa”. Questi tentativi si sono tradotti nella creazione di due documenti, Qatar Foundation Mandatory Standards (Qfms) e Supreme Committee Workers’ Welfare Standards (Scwws) i quali, almeno formalmente, dovrebbero garantire il rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori, mentre, nella pratica, si sono rivelati inapplicabili.

Il Qfms, per esempio, stabilisce che gli appaltatori presentino un “piano di adesione al welfare” che garantisca che i lavoratori siano rispettati ed adeguatamente retribuiti. Mancando, però, un organo super partes che operi in maniera indipendente rispetto alle aziende, gli appaltatori si ritrovano a svolgere il ruolo di garanti di quelle stesse regole che quotidianamente e impunemente violano, ai danni dei migranti. Il Scwws è ancora più inutile: la “Carta” stabilisce che siano tenuti dei forum mensili tra gli imprenditori e i lavoratori, nei luoghi in cui questi ultimi vivono. Tuttavia i lavoratori possono discutere solo delle condizioni degli alloggi e, per nessun motivo, sono autorizzati a trattare altri argomenti, come i salari, le condizioni di lavoro o gli orari.

E’ importante tenere presente che nei paesi del Golfo Persico vige il “sistema Kafala” o sistema di sponsorizzazione che riguarda i migranti e prevede che il datore di lavoro sia responsabile del loro status giuridico e del loro visto. Ciò dà agli imprenditori un potere immenso nei confronti dei lavoratori, al punto che la maggior parte di essi versa in condizioni di schiavitù. A molti lavoratori migranti, una volta giunti in Qatar, viene sequestrato il passaporto dai datori di lavoro e viene negata la possibilità di cambiare lavoro senza l’autorizzazione del loro “padrone”.

Lo scorso 18 dicembre, nella “Giornata Internazionale dei Migranti”, Human Rights Watch ha chiesto all’Associazione per la cooperazione regionale del sud-est asiatico (Saarc) di fare pressione sui propri governi per costringere i Paesi del Ccg (Consiglio di cooperazione del Golfo Persico) a rispettare i diritti e la dignità dei lavoratori migranti. Secondo quanto si legge nel comunicato di Human Rights Watch, la Kafala “deve essere riformata per permettere ai lavoratori di cambiare impiego o rientrare nei propri paesi anche senza il permesso del datore di lavoro”.

“I paesi del Golfo – ha dichiarato Brad Adams, responsabile dell’organizzazione per l’Asia – dovrebbe riconoscere il ruolo cruciale dei lavoratori migranti nelle loro economie e adottare delle misure perché i loro diritti vengano pienamente garantiti”. Anche Amnesty International ha denunciato la condizione dei lavoratori migranti nel Qatar in un rapporto intitolato “The Dark Side of Migration: Spotlight on Qatar construction sector ahead of the World Cup”. Rivolgendosi alla Fifa, l’ha esortata a cooperare con le autorità del Qatar e con gli organizzatori dei Mondiali di calcio per prevenire gli abusi sui lavoratori migranti. “Le nostre indagini mostrano un livello di sfruttamento allarmante nel settore della costruzione in Qatar.

La Fifa ha il dovere di mandare un messaggio forte all’opinione pubblica e dire che non tollererà violazioni dei diritti umani sui cantieri dei Mondiali”, ha dichiarato Danièle Gosteli Hauser, responsabile Economia e diritti umani di Amnesty International. “Il Qatar sta reclutando lavoratori migranti a un ritmo impressionante per sostenere il boom del settore della costruzione: la popolazione di lavoratori aumenta di 20 persone all’ora. Molti migranti arrivano in Qatar pieni di speranze, che vengono spazzate poco dopo il loro arrivo. Non c’è tempo da perdere: il governo deve agire ora per mettere fine agli abusi”.

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