Cronaca

Regeni, fallisce la strategia italiana

Il caso Regeni registra l’ennesimo fallimento. Nessuna risposta sulle rogatorie italiane, promesse non mantenute sull’elezione del domicilio dei cinque indagati, dei dodici incontri tra magistrati egiziani e procuratori italiani nessuno è arrivato a buon fine. Per i genitori di Giulio Regeni non resta che registrare l’ennesimo fallimento anche se, questa volta pare che la Farnesina valuterà l’ennesimo vertice e si riserverà di prendere future decisioni. Dall’Egitto sono solo arrivati depistaggi e menzogne. I magistrati egiziani hanno formulato richieste sull’operato di Regeni in Egitto, insomma i magistrati del Cairo chiedono: “Cosa ci faceva Giulio Regeni in Egitto?”.

L’Italia aspetta da 14 mesi di sapere dove mandare gli atti ai cinque indagati, conoscere il domicilio è di fondamentale importanza perché senza di esso i documenti che gli indagati devono ricevere non possono essere consegnati. In tutto questo tempo l’Egitto ha giocato in modo macabro con gli investigatori italiani e soprattutto lo ha fatto con la famiglia di Regeni mostrando dei presunti effetti personali del ricercatore che però, alla prova dei fatti, si sono rivelati falsi. La procura egiziana ha anche fatto un comunicato dove si sosteneva come “Roma potrà toccare con mano la trasparenza dell’Egitto”.

Infine, l’istanza dove si chiede cose ci facesse Giulio Regeni in Egitto. Per i genitori del ricercatore ucciso nel 2016 è l’ennesimo schiaffo: “Si tratta di un’istanza offensiva e provocatoria”, hanno commentato in una nota poco dopo Paola e Claudio Regeni e l’avvocata Alessandra Ballerini. I genitori hanno quindi criticato duramente la linea della “condiscendenza” e del “stringere mani” e “fare affari con l’Egitto”, difesa dal premier Giuseppe Conte solo poche settimane fa nella sua audizione davanti alla commissione d’inchiesta. Hanno ribadito la necessità di “richiamare l’ambasciatore” perché “oggi è l’unica strada percorribile”.

Caso Regeni e l’imbarazzante posizione dell’Italia

Palazzo Chigi tace, nel miglior stile italiano, mentre la Farnesina ha parlato di “delusione” ed ha assicurato alla famiglia di Regni il massimo impegno. Purtroppo siamo sempre dinnanzi a parole di circostanza ripetute più volte. Durissime le parole dei genitori, che non solo hanno condannato il comportamento del Cairo, ma hanno messo sotto accusa la linea diplomatica scelta dallo stesso governo italiano in questi anni. Chi pensava che fare affari, vendere armi e navi di guerra e stringere mani agli interlocutori egiziani fosse funzionale ad ottenere collaborazione giudiziaria, oggi sa di aver fallito.

Si arriva all’incontro numero 12 che è durato meno di un’ora, svoltosi in videoconferenza causa Covid-19. Alla fine non si è ottenuto nulla di nuovo, nessun elemento valido, nessuna nuova risposta sul domicilio dei cinque appartenenti ai servizi di sicurezza egiziana accusati dal Pm Colaiocco del reato di sequestro di persona. Il Procuratore di Roma, Michele Prestipino, ha “insistito sulla necessità di avere riscontro concreto, in tempi brevi, alla rogatoria avanzata nell’aprile del 2019 ed in particolare in ordine all’elezione di domicilio da parte degli indagati, alla presenza e alle dichiarazioni rese da uno degli indagati in Kenya nell’agosto del 2017″.

di Sebastiano Lo Monaco

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