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Uno sterile malcontento monta in Europa

Europa – Scontento e ribellione verso l’Unione Europea quale è divenuta stanno montando inarrestabili; difficoltà economiche e sociali, aumento delle diseguaglianze, mutamenti profondi e incontrollati delle società, perdita di riferimenti culturali e radici: è questo il clima in cui matura il risentimento verso le Istituzioni europee e le politiche che esprimono, percepite come estranee e nemiche.

Di questo si sono avvantaggiati partiti e movimenti di tutti i Paesi che, cavalcando le paure e il malessere della gente, raccolgono sempre più consensi ad ogni elezione. Essi incarnano varie anime, dando voce alle diverse proteste al di là degli schemi tradizionali destra/sinistra che ormai hanno perso la capacità d’attrarre; ciò che emerge maggiormente è un rigetto degli establishment a cui si imputa l’attuale degenerazione della situazione, il disagio.

In comune hanno una dichiarata volontà di cambiamento, che per alcuni significa la fuga dal presente che spaventa per un ritorno a un passato in cui si vagheggia di ritrovare sicurezza e benessere; per altri la trasformazione di una società divenuta sempre più ingiusta, mettendo al centro la giustizia sociale, la solidarietà, il rifiuto del profitto come unico metro. Tutti additano Bruxelles come nemico.

Il fatto è che ciò contro cui si scagliano sono gli effetti e non la causa della situazione in cui versa il vecchio continente intero; la crisi economica e sociale ne ha solo inasprito le conseguenze che prima erano coperte da un benessere più o meno diffuso, o dalle aspettative di raggiungerlo; il non comprenderlo condanna alla sterilità e al sostanziale fallimento ogni tentativo di mutar le cose.

Senza voler andar troppo indietro nel tempo, il vecchio continente quale oggi conosciamo ha le sue radici nella duplice, immensa, occasione persa nell’89 per miope egoismo e vile sudditanza; un’occasione enorme e irripetibile di cui continuiamo a pagare tutte le conseguenze. Allora, la fine della Guerra Fredda rese possibile qualcosa d’impensabile: la nascita d’un grande soggetto politico europeo affrancato da condizionamenti e sudditanze.

Con lo sgretolamento dell’Urss, la scomparsa del ricatto nucleare rendeva inutile la Nato e toglieva ogni ragion d’essere alla motivazione ufficiale della tutela a Stelle e Strisce. Non solo: il processo d’aggregazione degli allora 12 Paesi della Ce era in fase assai avanzata; la fine della “giustificazione” (meglio scusa) di una sudditanza, avrebbe potuto dare una spinta decisiva a quell’aggregazione, costituendo finalmente una massa critica tale da non temere condizionamenti da alcuno. Le capacità economiche e produttive dei singoli Paesi, poste insieme e indirizzate da un unico progetto politico, sarebbero state uniche al mondo, proiettando influenza e sviluppo non solo ad Est, ma su tutto il bacino del Mediterraneo ed oltre.

Ma le cose andarono assai diversamente: Mitterrand, Thatcher e lo stesso Andreotti in Italia, temevano il potere di una Germania unificata e il peso politico ed economico che avrebbe potuto avere un simile organismo; così, da un canto stopparono il processo d’integrazione politica, dall’altro pensarono di imbrigliare Berlino togliendole il Marco e dandole una moneta che sarebbe stata di tutti. Pur di giungere all’unificazione, Kohl accettò Maastricht e il percorso che portò all’Euro.

Ciò che accadde dopo è sotto gli occhi di tutti: col tempo, per forza propria e miope inettitudine altrui, l’economia tedesca s’è impossessata dell’Euro, piegando progressivamente le Istituzioni di Bruxelles, vuote e prive d’anima politica, ai propri interessi, imponendo la sua egemonia economica sul Continente.

Ma quell’egemonia non si traduceva in un progetto complessivo, a Berlino bastava plasmare regole e norme a misura del proprio Sistema Paese. Per questo Washington, che aveva visto con apprensione la scomparsa della ragion d’essere della Nato e della sua tutela sul vecchio continente, ha lasciato fare. Quello che si dilatava a dismisura, inglobando Paesi su Paesi in una irragionevole corsa all’Est, non era un soggetto forte, capace d’esprimere una politica sua; era un ectoplasma di cui gli Usa continuavano ad avere saldamente il controllo, determinandone le scelte di fondo.

Nel Mediterraneo, in Medio Oriente, in Africa per non parlare in Asia, l’Europa in quanto tale non c’è stata; solo alcuni Paesi, come la Francia, hanno cercato di condurre un’agenda a sostegno dei propri interessi di bottega, ma mai in aperta contrapposizione con Washington, anche a costo di pagare pesanti scotti.

La crisi che abbiamo importato da oltre Atlantico ha messo a nudo limiti e inadeguatezza del Sistema: un gruppo di Paesi diversissimi, ingabbiati in regole astruse fatte a misura del Paese egemone, pesantemente condizionati da Istituzioni internazionali funzionali a Washington, sono stati nella gran parte massacrati, pagando altissimi costi economici e sociali.

Ma non è tutto: anche in assenza di un disegno politico complessivo, la forza delle cose stava disegnando una rete di rapporti sempre più fitti fra vari Paesi europei (Germania in testa e dietro Italia e Francia) e la Russia; era l’ovvia sinergia che nasceva fra Sistemi Paese naturalmente complementari: gli uni fortemente industrializzati e tecnologicamente avanzati, l’altra ricchissima di materie prima e bisognosa d’infrastrutture.

Quando Berlino ha formulato il progetto d’allargare la sua sfera d’influenza sui Paesi dell’Est, creando una partnership strategica con Mosca, Washington è intervenuta con tutto il suo peso e i suoi intrighi per sbarrare la strada: la maturazione d’un simile piano da cui sarebbe stata tagliata fuori, avrebbe fatto sorgere un fortissimo blocco economico e commerciale che, inevitabilmente, avrebbe presto assunto connotazioni politiche alternative.

Il resto è storia nota quanto recente: la sanguinosa crisi ucraina, le sanzioni che mordono gli europei ancor più dei russi, il blocco di progetti e investimenti in economie già provate da una crisi interminabile. È l’ultimo atto eclatante d’un servaggio subito passivamente, malgrado gli evidenti ed enormi danni che porta.

Per cambiare radicalmente questa Europa non basta dunque criticarla per quella che è divenuta, né attaccarne semplicemente le regole economiche dettate dagli egoismi di qualcuno; meno che mai pensare di tornare indietro in un passato superato anni luce dalle dinamiche economiche e sociali. È prima d’ogni cosa necessario porre fine al condizionamento che viene da oltre Atlantico; una sudditanza che impedisce ogni vera dinamica politica e, a caduta, economica.

Solo riacquistando un’indipendenza reale potrà essere data un’anima politica all’Europa, mettendo insieme i Paesi attorno a un progetto di sviluppo che superi i singoli egoismi. Indicare strade diverse, che non mettono al centro questo presupposto, è velleitario, è condannare alla sterilità una ribellione che potrebbe mutare le cose. Fin’ora così è stato, con tanti ringraziamenti da chi ne trae vantaggio da oltre Atlantico e nei palazzi del potere della Ue.

di Salvo Ardizzone

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