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La sceneggiata del Mullah Omar

di Salvo Ardizzone

Alcuni giorni fa la Bbc ha annunciato la morte del Mullah Omar, l’inafferrabile figura di maggiore spicco fra i vari gruppi di taliban afghani. Lo scoop, subito ripreso dai media di tutto il mondo, è stato confermato immediatamente dal Governo afghano, dalla Cia e dagli stessi taliban. Peccato che, solo pochi giorni prima, avevano diramato un comunicato con cui il “morto” approvava i colloqui di pace fra alcune fazioni taliban e il Governo di Kabul, a Murree, in Pakistan, presenti i servizi pachistani (eterni registi delle trame del pantano afghano), americani e cinesi (si, anche loro, sempre più attivi nell’Asia Centrale).

Anche le versioni della morte si sono subito moltiplicate; le principali sono due: per le autorità afghane è morto due anni fa, per la famiglia e la sua fazione, in concomitanza dell’annuncio, in un ospedale di Karachi, in Pakistan. Gli unici a tacere son stati proprio loro, i pakistani, che, come tutti sanno nell’area, da anni ospitavano il mullah, con il pieno monitoraggio della Cia.

E qui dovrebbero cominciare le domande: se era morto da due anni, come attesta la tesi ritenuta più credibile, perché la notizia è stata diffusa solo adesso? E chi l’ha passata alla Bbc giusto alla vigilia del secondo round dei negoziati di Murree, che subito sono stati rinviati?

Comprendere le dinamiche della regione è da sempre un rompicapo inestricabile, ma anche qui, come in tutta l’Asia e il Medio Oriente, gli equilibri sono ora in rapida evoluzione. Senza scendere nei particolari, sarebbe impossibile, occorre focalizzare alcuni elementi per avere il quadro generale.

Il Pakistan ha sempre ritenuto l’Afghanistan affare suo, e il suo servizio, l’onnipotente Isi, ha trescato incessantemente con qaedisti, taliban e signori della guerra per esercitarvi tutta la propria influenza. Il nuovo presidente afghano, Ashraf Ghani, lo ha compreso bene e su mandato di Washington (nel frattempo ravvicinatasi discretamente a Karachi) ha intavolato trattative di pace con alcune fazioni taliban sotto la regia pakistana e con la benedizione di Usa e Cina.

Le due superpotenze hanno ora pieno interesse a stabilizzare la regione; soprattutto Pechino, che ha esercitato pressioni efficaci sui pakistani, garantendo il mantenimento dell’influenza sull’Afghanistan e molti lucrosi investimenti. Di qui la subitanea voglia di pace, soprattutto da parte di chi è sotto il pieno controllo dell’Isi (come lo era il mullah Omar e la sua cerchia).

Ma le cose non sono così semplici, soprattutto nella zona fra Afghanistan e Pakistan, l’Af-Pak: molti gruppi taliban hanno tantissimo da perdere da un simulacro di pace; traffici d’oppio, contrabbando, controllo dei commerci ed altro ancora, forniscono la ragione d’essere ed i lauti proventi di quelle bande, e chi è sul territorio afghano è poco propenso a lasciarli ai funzionari e politici corrotti del governo di Kabul ed ai signori della guerra loro vicini.

E c’è un ulteriore fattore di notevole importanza: gli Usa hanno bisogno di un attore sul terreno che controbilanci l’influenza pakistana e della Cina, su quell’area e nell’Asia Centrale, ora sfera d’interessi divisa fra Mosca e Pechino. I taliban sono sempre stati abbastanza refrattari al controllo di Washington, malgrado le molte manovre della Cia. Per questo, vedi caso, nel gennaio scorso, l’Isil ha ufficializzato la nascita della provincia del Khorasan, che copre proprio l’Af-Pak; i militanti sono reclutati sia fra scontenti dei gruppi afghani che pakistani, e non solo. Funzionali al progetto di una pedina che possa operare per la destabilizzazione pilotata di quella parte di mondo, contro gli interessi cinesi e russi nell’Asia Centrale, ci sono militanti uzbeki, caucasici, uiguri, ed altri ancora.

Da tempo sono cominciati gli scontri fra i taliban e gli uomini del “califfo”, per il controllo di traffici e del territorio, e sono destinati ad aumentare per eliminare l’influenza dei gruppi taliban che rifiutano il controllo.

Tornando alla morte del mullah, il suo prestigio era stato usato per propiziare i colloqui di pace; ma visto che l’opposizione era comunque forte, s’è fatta trapelare la notizia per avviare una resa dei conti interna all’insorgenza, che la frazionerà e l’indebolirà ancora. È stato già ucciso Yaqub, il figlio di Omar, che voleva succedergli; al suo posto, al vertice della shura di Quetta, s’è imposto Mansour contestato da molti, ma ha già subito un attentato ed il suo vice è vivo per miracolo; lo stesso Jalaluddin Haqqani, a capo di un network terroristico che è stato il principale braccio operativo dei servizi pakistani, è rimasto gravemente ferito da un attentato.

Insomma, è in atto un radicale rimescolamento di carte ed alleanze, e nel frattempo, mentre taliban, signori della guerra ed Isis si scannano fra loro in obbedienza agli interessi propri e dei propri mandanti, i colloqui continuano sotto traccia, in attesa d’essere ufficializzati in un nuovo incontro quando la ruota si fermerà sul numero voluto.

Come sempre, l’Imperialismo fa i suoi sporchi giochi con i destini di Popoli e Nazioni, e le popolazioni subiscono guerre, distruzioni e violenze senza fine.

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