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I nuovi scenari della diplomazia Vaticana

di Mauro Indelicato

E’ passato oramai un mese da quando la fumata bianca del 13 marzo scorso, annunciava al mondo che Jorge Mario Bergoglio era diventato il nuovo supremo Pontefice della Chiesa romana; a distanza di questi 30 giorni, sono molte le curiosità di un vescovo vestito di bianco che ha dato spesso e volentieri modo di parlare di sé.

Però, al di là dell’aspetto sottolineato dai network tradizionali, per nulla trascurabili ovviamente, come la semplicità, la vicinanza alla gente, la scelta di rinunciare alle auto blu ed all’appartamento papale, cerchiamo di capire uno degli aspetti che ha fatto la fortuna della vita politica vaticanese, ossia la politica estera.

Come si posizionerà la Santa Sede nel complesso scacchiere internazionale attuale? Partiamo da un primo dato: Papa Francesco, è il primo capo di Stato europeo, non europeo. Al vertice del più piccolo ma tra i più potenti Stati del vecchio continente, vi è un Vescovo proveniente “dalla fine del mondo”, come ha detto lo stesso Bergoglio dalla Loggia della Basilica di San Pietro, nato, vissuto e cresciuto in un contesto profondamente diverso da quello europeo.

Ha suonato molto strano, in questo ragionamento, il silenzio della Santa Sede sulla morte della Tatcher; solitamente, siamo stati abituati a vedere la Chiesa come l’avamposto ed il punto di convergenza di tutto gli Stati europei, invece questa volta c’era un profondo imbarazzo, visto che il Papa, quando era nel 1982 un semplice prete gesuita, definì la guerra delle Falkland come una barbarie perpetuata nei confronti dell’inerme popolo argentino, e dunque dal Vaticano non è partito un messaggio di cordoglio particolarmente sentito alla Corona inglese.

Fa una certa impressione, continuando in questo ragionamento, vedere come il cuore di Roma da un mese a questa parte sia diventato un punto di riferimento per quei governi sudamericani che spingono verso l’unità sudamericana e verso un’emancipazione dal periodo coloniale; un rovesciamento di prospettiva molto corposo, rispetto alla tradizionale visione di una Chiesa europeo centrica.

Chiesa che, anche dall’interno, si sta a poco a poco dando una struttura più aperta verso i cinque continenti e meno rivolta all’Europa; giusto nelle scorse ore infatti, Papa Francesco ha composto una commissione di otto cardinali che dovrà studiare una radicale riforma della Curia. Tra di essi, non c’è nessuno del governo uscente della Santa Sede e spicca tra di loro il cardinal Maradiaga, vescovi di Tegucicalpa, capitale dell’Honduras, da sempre acerrimo nemico dei curiali e molto vicino alle tematiche che investono i due continenti americani.

Inoltre, tra gli otto porporati, da annotare la presenza anche del Cardinale francescano, molto popolare durante il Conclave, Sean O’Malley, mentre l’unico italiano è il Cardinal Betello, gestore del Governatorato Vaticano, una sorta di Sindaco della Città del Vaticano.

Dunque, il Sudamerica è sempre più presente dentro la gestione della Chiesa di Roma, così come aumenta il peso dei vari continenti extraeuropei: è allora possibile ipotizzare un pontificato che faccia pendere l’ago della bilancia, in politica estera, non più verso la “tradizionale” Europa?

C’è un altro elemento, in questa direzione, davvero molto interessante: se il Vaticano infatti, è stato uno dei pochi Stati europei a non aver effettuato dichiarazioni ufficiali sulla scomparsa della Tatcher, come abbiamo evidenziato prima, è stato l’unico governo del nostro continente invece a fare le condoglianze al popolo iraniano per il terremoto che ha causato quasi 40 morti nel sud del paese: “Sono vicino al popolo iraniano per quanto è successo” ha dichiarato il Papa nell’ultima udienza generale di mercoledì, una frase certamente normale, di naturale immedesimazione verso il dolore di un popolo, ma non così scontata, specie se a pronunciarla è il capo della cristianità ed un leader che ha la propria sede di governo nel cuore dell’Europa.

E allora, eccola un’altra domanda: è possibile un avvicinamento diplomatico tra Vaticano ed Iran e, più in generale, si può ipotizzare che la Santa Sede possa aiutare ed influenzare tale ravvicinamento quantomeno dell’Italia e del sud Europa verso Teheran?

La Chiesa, del resto, ha anticipato e spesso guidato diversi cambiamenti di rotta nello scacchiere e del sistema internazionale; pensiamo alla spinta che diede alla formazione del Sacro Romano Impero di Carlo Magno, facendo sorgere un’epoca importante della storia europea, così come bisogna valutare in quest’ottica il ruolo del papato in tanti altri movimenti storici importanti nella formazione dell’attuale sistema politico. Nulla di strano quindi se i 115 cardinali, al momento di votare per un Papa argentino, abbiano buttato più di un semplice sguardo alla condizione politica internazionale sempre più orientata ad un sistema multipolare, in cui il ruolo dell’Europa e dell’occidente tende sempre di più a scemare.

Nel frattempo comunque, non resta che aspettare le prossime mosse della diplomazia vaticana e vedere soprattutto se gli uomini del vecchio corso della Santa Sede, molti dei quali presenti nei posti di comando della Curia grazie ai tanti rapporti con i governi occidentali ed italiano in special modo, tenteranno in qualche modo di ostacolare questi primi segnali di cambiamento di rotta e cercare di frenare lo svecchiamento messo in atto da Papa Francesco.

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