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“Sono prigionieri politici non lasciamoli morire”

di Giovanni Sorbello

“Sono prigionieri politici non lasciamoli morire”, gridavano i militanti repubblicani dell’Irlanda del Nord, a sostegno delle lotte dei tanti detenuti irlandesi in sciopero della fame nelle carceri inglesi.

La lotta per i diritti dei detenuti non ha appartenenza geografica o politica, è semplicemente un diritto che troppi regimi infrangono impunemente. E’ una lotta che spesso unisce ed edifica ponti di solidarietà e condivisione, come quello che ha unito le lotte per l’indipendenza irlandese a quelle dei palestinesi per riavere la propria terra.

E’ proprio di questi giorni la notizia dell’ennesimo sciopero della fame a tempo indeterminato che sta coinvolgendo oltre duecento palestinesi incarcerati nelle prigioni israeliane. I prigionieri protestano contro la “detenzione amministrativa”, che consente alle autorità di incarcerare i detenuti per periodi di sei mesi rinnovabili senza mai essere stati accusati di un crimine.

L’associazione dei prigionieri palestinesi ha riferito in un comunicato che 80 dei prigionieri sono detenuti nella prigione di Ofer, 55 sono incarcerati a Naqab, e i restanti 65 sono detenuti nel carcere di Megiddo.

Jawad Boulos, un avvocato dell’associazione, intervistato dall’agenzia di stampa Anadolu ha dichiarato che le autorità carcerarie israeliane hanno iniziato a trasferire i prigionieri in carceri diverse “per separarli e cercare di spezzare la loro protesta”.

L’anno scorso il prigioniero palestinese Samer Issawi ha condotto uno sciopero della fame per 277 giorni, per protestare contro la sua detenzione amministrativa. L’anno prima una protesta di massa portò oltre 2mila prigionieri palestinesi a rifiutare il cibo per protestare contro le detenzioni amministrative. I prigionieri conclusero lo sciopero della fame a metà maggio 2012, solo dopo aver raggiunto un accordo con Israele che promise di rilasciarli.

Amnesty International e Human Rights Watch condannano la politica israeliana di detenzione amministrativa come una chiara violazione del diritto umanitario internazionale. Della cosiddetta comunità internazionale resta ben poco da dire, la sua complicità e il suo silenzio rappresentano l’ennesimo insulto alla dignità e al diritto di ogni essere umano.

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