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L’arroganza senza fine di Frau Merkel

di Salvo Ardizzone

Forse qualcuno aveva sperato (non noi di certo) che Frau Merkel, dopo aver scaricato sull’Eurozona, attraverso il sistema Target 2 della Bce, oltre 500 mld di € di crediti fasulli delle sue banche; dopo aver ottenuto che deroghe e trucchetti contabili da magliari permettessero ai suoi colossi del credito (tipo Deutsche Bank e Commerzalbank) di raggiungere i coefficienti di Basilea 3; dopo aver finalmente ottenuto la rielezione e la guida del governo (l’unica cosa che le importa); dopo tutto questo moderasse la sua interessata arroganza…beh…quel qualcuno si deve ricredere alla grande.

In un documento sottoscritto dalla Finlandia, ultimo suo ascaro dopo che anche l’Olanda s’è dovuta ricredere sotto i morsi della crisi, la Germania attacca a testa bassa la Commissione Europea, accusandola d’aver mutato i criteri di valutazione sui provvedimenti presi dagli Stati membri per rientrare nelle regole di bilancio. In poche parole, la Germania sostiene che la Commissione abbia “ammorbidito” il metodo di valutazione recentemente approvato per aumentare e rafforzare i controlli. Ancora e sempre risuona il mantra ossessivo dei conti in ordine; Berlino resta cocciutamente ancorata ad una interpretazione letterale e restrittiva del Patto di Stabilità

Ma la Commissione non ci sta e replica per una volta a muso duro per bocca di Simon O’Connor, portavoce del rigido custode dei conti, il Commissario agli affari Economici Olli Rehn (per altro finlandese): “Il metodo di valutazione è già in uso da oltre un anno, ed è stato introdotto dopo un approfondito dibattito fra tutti gli Stati membri”; come dire che la Germania ne era bene a conoscenza e dunque non ha alcun titolo a protestare. Inoltre, il Presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, propone di vincolare i Paesi che chiedono maggiore flessibilità nei parametri ad una ristrutturazione delle economie (e dunque alla realizzazione di riforme strutturali) concordata con Bruxelles e dilazionata su maggiore tempo, funzionale appunto alle riforme intraprese; insomma, secondo il suo slogan: “più tempo per più riforme”.

La causa della protesta tedesca starebbe nel fatto che la complessa procedura vuol tenere in conto non solo i freddi numeri, ma anche gli sforzi compiuti dai Paesi e le misure che essi intraprendono per conseguire i risultati. Abbiamo detto starebbe, perché dietro quest’attacco a gamba tesa, c’è la volontà di riaprire la discussione sulle concessioni già fatte a Francia, Spagna e Olanda; su quelle ormai non si può tornare indietro, certo, ma si fa in tempo a sbattere la porta in faccia alle altre, per prima all’Italia, il cui governo ha già detto chiaramente di voler ridiscutere i vincoli europei.

La tempistica del documento è chiara: è stato divulgato all’indomani della pubblicazione delle previsioni economiche della Commissione per il 2014: Francia e Spagna, a cui era stato concesso più tempo per rientrare nel famoso parametro del 3%, passano la prima dal 3,8% del 2013 al 4% previsionale per il 2014 e la seconda addirittura dal 6,8% al 7,2%. Per Berlino è la riprova che concedere più tempo per il risanamento non serve, anzi peggiora le cose, perché gli Stati, non più pressati, abbassano la guardia e rinviano le medicine dolorose (per inciso, notiamo che solo qualche anno fa, quando toccò alla Germania sforare il 3%, la pensò assai diversamente).

Il fatto è che con quei Paesi la Germania aveva interessi ben precisi: la Francia è certo un peso massimo della Ue e non conveniva inimicarsela con un brusco no, è troppo utile quando le fa da sponda per dirigere l’Europa delle banche (vedi la battaglia per ammorbidire Basilea 3); la Spagna correva pericoli seri di default e, se fosse crollata, per prime sarebbero saltate le banche tedesche che avevano in pancia centinaia di Mld di € di crediti inesigibili, occorreva salvarla e prender tempo perché riuscissero a disfarsene scaricandoli sull’Eurozona tramite i meccanismi della Bce; all’Olanda non poteva fare lo sgarbo, dopo che era stata sua fedele scudiera per tanti anni, e poi rientra pur sempre nell’area allargata del vecchio Marco. Resta l’Italia, e sbarrando la strada a lei a titolo di monito, chiuderebbe la porta in faccia a tutti gli altri, e pensa d’averla vinta facile.

Il fatto non è economico, ma tutto e solo politico: occorrerebbe da parte nostra un governo e un’opinione pubblica che fossero tali e si facessero sentire nei modi dovuti. Chi ci rappresenta a Bruxelles, da troppo tempo (diremmo ormai da generazioni) balbetta o fa sorridere quando non fa da complice ai traffici d’Oltralpe. Sicché, puntando sulle nostre debolezze, Frau Merkel conta di riprendersi in mano lo scettro del rigore per blandire il suo elettorato (ed accrescere ancora il peso che ha all’interno dell’Unione).

Sperare che il nostro governo e i nostri rappresentanti in Europa sappiano rispondere nei modi appropriati (che badate, non sono solo battere i pugni sul tavolo, ma trovare gli argomenti e le alleanza giuste in un ambiente di egoismi e di tecnocrazia spregiudicata)… beh… lasciateci dire che non ci speriamo granché.

Ma alla fine ci poniamo anche qualche domanda; primo: quando accadrà che qualcuno saprà sbattere in faccia alla Cancelliera gli enormi utili e gli spropositati privilegi che la Germania ottiene dall’Europa (leggi svalutazione competitiva per i suoi prodotti e rete di protezione per le sue banche ad esempio)?

Secondo, e per farla breve: fino a quando dovremo sopportare l’arroganza sfacciatamente interessata di Frau Merkel?!

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