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Germania: il buco nero delle Sparkasse

di Salvo Ardizzone

Anche se s’ostina a non ammetterlo, a conti fatti, anche la Germania mostra le crepe; i crediti dubbi, figli della crisi, si moltiplicano nelle pance delle banche teutoniche. I “non performing loan” (Npl), così si chiamano, come abbiamo detto varie volte sono un flagello per gli Istituti di tutta l’Eurozona, e il loro aumento non conosce soste: secondo l’Eba (European Banking Autority), in una stima che si ferma a giugno 2013, erano 980 mld di € (ora son già molti di più), di questi almeno 200 erano tedeschi. Ma è una comparazione che sta per aria: a differenza della maggioranza dei Paesi Ue, la Germania ha un modo assai più morbido per calcolarli, e a complicare del tutto le cose, c’è la caratteristica del sistema del credito tedesco diviso nettamente in tre, con regole e controlli assai diversi.

In prima fila ci sono i “campioni nazionali” tipo Deutsche Bank e Commerzbank, tutt’altro che perfetti, ma fedeli strumenti degli interessi nazionali; per questo la Bundesbank li ha difesi strenuamente dalla Bce e dai suoi controlli effettuati tramite l’Ssm. È stato un braccio di ferro spossante, fatto per annacquare, rinviare, abbassare parametri e coefficienti, e riservarsi di legiferare in cada sulla materia. Sia come sia, un certo controllo c’è, come pure quei crediti “difficili” che probabilmente sono molti di più di quanto rilevato se nella sola “bad bank” della Commerzbank (l’Istituto creato appositamente per gestirli, eliminandoli dai bilanci), ne sono stati conferiti 123,5 mld!

C’è poi il secondo sistema, quello delle Landesbank, quelle regionali; sono Istituti più radicati sul territorio e nelle realtà locali e per questo portati a fare a modo proprio, ma in qualche modo assoggettati al controllo della Bce, e, con tutte le magagne (che ci sono), bene o male in linea con gli obblighi di trasparenza verso i controllori delle altre banche della Bce.

Resta il terzo sistema, e qui si entra in un mondo opaco quanto polverizzato, quello delle Sparkasse (cioè le Casse di Risparmio), un reticolo infinito di piccole realtà, strettamente collegate ai centri di potere e politici locali (quelli che nelle elezioni portano voti e spostano interessi). Intanto la vigilanza è competenza di un’Autority nazionale, la BaFin, inoltre, e questa è proprio bella, sono esonerate dal comunicare ufficialmente i crediti dubbi. Vale a dire che potrebbero essere zeppe di crediti fasulli, concessi per inettitudine o per compiacere Tizio o Caio, ma non sono tenute a raccontarlo a chi dovrebbe controllare la correttezza dei crediti. Alla faccia della Nazione che s’atteggia a modello di virtù!

E non si tratta di crediti da poco; nel 2013, secondo la Dsgv, in sostanza la lobby del comparto che le aggruppa tutte, hanno concesso crediti per 1.700 mld di €, a chi non si sa bene, “realtà locali” si dice, e tantomeno con quali risultati.

La BuBa, nel novembre del 2013 “calcolava”, perché di certezze nessuno s’azzarda a parlare, che potrebbero avere circa 85 mld di crediti dubbi (che ovviamente non sono conteggiati nel 200 di cui abbiamo parlato all’inizio). E magari fossero solo 85!

Di mettere mano a controlli neppure se ne discute, e la Dsgv ha dichiarato candidamente che “è in atto un’intensa operazione di lobbying per escludere le Sparkasse da qualunque genere di stress test, sia a livello europeo che nazionale”, che è come dire: facciamo come ci pare.

In partica sono una mina vagante (e che mina!), e visti i presupposti, quando a fine 2014 sarà completata l’Aqr (Asset Quality Review) della Bce sulla qualità del credito nella pancia delle banche della Ue, la valutazione complessiva tedesca sarà completamente fasulla.

Non è che tutti siano ciechi e sordi, ed oltre ai notevoli malumori della Bce, anche il Fmi ha detto chiaro che Berlino deve “migliorare la trasparenza sui bilanci delle Sparkasse”, ma fin’ora né BaFin, né Dsgv hanno fatto nulla per ovviare a un’opacità che tende al nero.

Aggiungiamo alcune ennesime riflessioni: la Germania trae il massimo utile dalla permanenza nella Ue e nell’Eurozona, concedendosi pure la massima discrezionalità sul credito, ma questo non solo per gli ovvi rapporti di forza, quanto per la capacità di utilizzare al meglio i meccanismi amministrativi e finanziari che vi sono, attenta a vigilarne e presidiarne ogni passaggio; inoltre il suo sistema Paese è compatto nel supportare i propri interessi.

Limitarsi a dire di mandare al diavolo chi peraltro lo merita in pieno e battere i pugni sul tavolo non serve, anzi, danneggia, favorendo di fatto chi fa il furbo con sfacciato egoismo. Occorre piantarla con il dilettantismo e, tenendo ben presenti i legittimi interessi che ogni Paese porta, fare sinergia e sbarrare la strada una volta per tutte a chi ha già stancato tutti con il suo strapotere.

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