Africa

La Libia del post-Gheddafi: nuova democrazia araba o bomba pronta ad esplodere?

E’ un paese grande sette volte l’Italia, ma con una popolazione che a stento supera quella della Sicilia: solo da questo dato, si può cominciare a parlare della Libia per capire quali e quanti contraddizioni vive questo paese, specie da quando, nell’ottobre 2011, l’uccisione di Gheddafi ha fatto chiudere un’epoca durata 42 anni.

Quel che più sorprende di questo popolo, è la compostezza e l’autocontrollo che riescono ad avere in ogni periodo storico: anche dopo la caduta del regime, Tripoli e Bengasi erano anni luce lontane da Baghdad e Bassora del dopo Saddam Hussein in Iraq. Niente saccheggi, pochi attentati, quasi inesistenti i rapimenti, questo per lo meno per ciò che concerne l’aspetto della vita quotidiana dei libici.

Ovviamente, pesa e non poco l’attentato contro il consolato USA di Bengasi avvenuto l’11 settembre scorso, costato la vita all’ambasciatore statunitense, ma in generale chi temeva uno scenario iracheno o, peggio ancora somalo, si è dovuto ricredere. Un carattere, quello libico, profondamente diverso da quello dei vicini egiziani o tunisini, alle prese con un’instabilità politica che non accenna a diminuire dopo la caduta dei regimi a seguito della rivolta araba.

Compostezza e pacatezza che si sono avute anche nelle elezioni di luglio, le prime dopo più di 50 anni: “Le consultazioni si sono svolte in maniera adeguata e consona ad un sistema multipartitico, senza alcun problema di ordine pubblico e senza particolari casi di brogli” recita un bollettino degli osservatori europei stilato pochi giorni dopo l’appuntamento elettorale. I risultati sono stati anch’essi sorprendenti: non hanno vinto le tendenze separatiste della Cirenaica e del Fezzan, né i tanto temuti estremisti islamici, che in Libia hanno da sempre rappresentato lo zoccolo duro dell’opposizione a Gheddafi, specie nella zona di Bengasi; a vincere sono stati i cosiddetti “liberali” del premier di transizione, Mahmoud Jibril, ex ministro della giustizia ai tempi del Rais, considerato filo – occidentale.

Sembrerebbe, fin qui, che la Libia si sia trasformata da spauracchio a “spot” per le potenze occidentali, che possono rivendicare il successo dell’attacco iniziato nel marzo 2011, quasi una testimonianza diretta di come “l’esportazione della democrazia” in salsa europea abbia avuto successo, al contrario di quanto accaduto in Iraq o in Afghanistan.

Ma in realtà, il pericolo è dietro l’angolo e gli scenari da bomba ad orologeria ai confini di casa nostra, descritti da chi era contrario all’intervento francese e della NATO, potrebbero essere più vicini di quanto sembrano. Andiamo con la mente per un attimo, indietro di quasi dieci anni: è il febbraio del 2004, l’amministrazione americana guidata da Bush, alle prese con i primi traumatici postumi della guerra irachena, organizza in mondo visione l’insediamento di Hamid Karzai nel nuovo e “democratico” governo di Kabul: in quella cerimonia, non si perse occasione per rimarcare come l’Afghanistan era un caso chiuso e risolto, con il paese stabilizzato e pronto a costruire le proprie istituzioni democratiche.

Sappiamo invece, com’è andata a finire: siamo nel 2013 e nel programma elettorale di Obama, l’uscita di scena degli USA dall’Afghanistan è ancora uno dei punti non realizzabili entro l’anno.

La stessa “parabola discendente” potrebbe verificarsi in Libia: dietro la democrazia che avanza di pari passo con la stabilizzazione del paese e con le vittorie elettorali dei partiti filo – occidentali, potrebbe in realtà nascondersi un grappolo consistente di insidie, che da qui a breve rischierebbero di far ripiombare il paese nordafricano nel caos più totale.

Molti gli elementi da cui partire per spiegare il perché di tutto ciò: in primis, le sacche di resistenza del regime di Gheddafi. Le milizie dell’ex rais sono ancora armate e non hanno intenzione di consegnare l’arsenale alle nuove autorità: in città come Bani Walid o Sirte, ma anche in alcuni quartieri residenziali di Tripoli, si aspetta la fatidica goccia che faccia traboccare il vaso per trasformare di nuovo le strade libiche in campi di battaglia.

Ma il regime di Gheddafi, non ha lasciato traccia soltanto nelle milizie da lui armate: durante il suo lungo governo, il colonnello si è distinto per una capillare redistribuzione della ricchezza proveniente dal petrolio, che ha fatto della Libia il paese africano con il più alto tasso di reddito pro – capite, nonché uno dei regimi in cui il carattere sociale dello Stato ha garantito uno stato di benessere decisamente sconosciuto ai vicini nordafricani; giusto per fare un esempio, nella Libia di Gheddafi, lo Stato garantiva istruzione gratuita e borse di studio elevate a chi intendeva andare nelle Università, mentre alle giovani coppie era garantita una casa non appena ci si sposava.

Se nei prossimi anni la popolazione libica non vedrà riconfermate queste istanze e vedrà, al contrario, lo smantellamento dello stato sociale gheddafiano, l’attuale entusiasmo verso i nuovi partiti potrebbe facilmente sciogliersi e la nostalgia verso il colonnello potrebbe, al contrario, crescere a dismisura.

Inoltre, i libici si sono sempre dimostrati un popolo molto orgoglioso, basti pensare al fatto che Omar al-Mukhtar, eroe della resistenza anti – italiana, è un personaggio venerato nel paese, ed approvavano la politica estera di Gheddafi, la quale aveva fatto della Libia uno dei paesi africani certamente più discussi, ma anche tra i più attivi e capace di diventare un punto di riferimento per i paesi di tutto il continente nero: Tripoli, specialmente negli anni 90 e 2000, si era trasformata in una città multietnica, che accoglieva ogni giorno capi di Stato africani ed europei, un vero e proprio centro nevralgico per la politica e l’economia del Mediterraneo.

Adesso invece, un governo palesemente filo – occidentale, troppo piegato alle istanze europee ed americane, potrebbe far scemare questo importante ruolo nella storia contemporanea che aveva la Libia di Gheddafi ed un ritorno ad una Tripoli capitale di un semplice territorio conquistato, potrebbe anche in questo caso far sollevare istanze nostalgiche verso il precedente governo.

Tutto ciò, oltre a mettere in difficoltà la nuova classe dirigente, potrebbe riaprire, come un vaso di Pandora, le tematiche inerenti il separatismo della Cirenaica, l’avanzata dell’estremismo islamico e la lotta tra le varie tribù di cui è composto il paese. Una destabilizzazione quindi, che da qui a poco tempo potrebbe diventare realtà se tutti questi elementi verrebbero valutati con estrema leggerezza tanto dal nuovo governo di Tripoli, quanto dalle potenze occidentali.

Ma l’assenza di Gheddafi ha già, per la verità, creato parecchio scompiglio in tutta l’area sub Sahariana, in primis nel Mali: il nord del paese infatti, formato dai Tuareg, è in rivolta dal 1958 contro il governo centrale e nel 2011, a quanto sembra, proprio i guerriglieri Tuareg sono stati al fianco del colonnello libico nella guerra civile. Persa la guerra però, i Tuareg sono tornati nelle loro città con un bel mucchio di armi e ciò gli ha permesso di togliere il controllo del loro territorio all’esercito maliano, permettendo in questo modo l’autoproclamazione della Repubblica dell’Azawad. Ma tale nuova repubblica non è stata in grado di fermare l’avanzata degli estremisti islamici, già radicati tra le dune del Sahara non solo maliano, ma anche algerino, favorendo così un’altra brutta pagina della storia di questo scorcio di inizio decennio, ossia l’intervento francese.

In generale poi, essendo il governo di Gheddafi uno dei più attivi sul fronte della lotta all’estremismo islamico, ricordiamo infatti che il primo mandato di cattura per Bin Laden è stato lanciato dal regime libico nel 1996, la caduta del colonnello ha incoraggiato la cellula di al – Quaida nel Magreb ad intensificare la propria violenza.

Lo scenario che si prospetta per il futuro quindi, non è roseo come le attuali apparenze tendono a far credere: ben presto la Libia potrebbe trasformarsi nella dimostrazione più eclatante che la supremazia militare alla lunga quasi mai si dimostra decisiva, se dietro non ci sono conoscenze adeguate della storia e della cultura di un intero popolo.

di Mauro Indelicato

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