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Nuovo corso della Bce, parole non seguite da fatti.

di Emanuele Piloni

Come lasciato trasparire un mese fa dallo stesso Draghi, il Consiglio Direttivo della Bce, riunitosi ieri a Bratislava, ha deciso di abbassare il tasso di rifinanziamento principale di un quarto di punto, portandolo allo 0,50%. Contemporaneamente è stato abbassato di 50 punti base anche il tasso sui prestiti marginali, ora all’1%, mentre è stato lasciato invariato quello sui depositi (già allo 0%).

Il taglio dei tassi era nell’aria, dato che il 4 Aprile scorso Draghi aveva affermato che le decisioni sarebbero state prese in relazione all’andamento dei dati economici, che nelle ultime settimane è stato pressoché deludente, in particolar modo nell’ambito del settore lavorativo, con la disoccupazione media europea al massimo storico del 12,1%.

A questa misura se ne affianca un’altra, ossia il prolungamento dei piani di rifinanziamento a lungo termine (Ltro) per tutto il periodo necessario, e per certo almeno fino a luglio 2014. Tre nuove aste straordinarie quindi, nelle quali le banche commerciali potranno fare il pieno di finanziamenti agevolati a tre mesi.

Le motivazioni alla base di queste scelte le abbiamo già sentite in passato, e suonano come un cattivo presagio visti gli esiti: fornire liquidità ed incentivare i prestiti all’economia reale. A questo Draghi ha aggiunto altri dettagli sulle previsioni di ripresa dell’eurozona che, a quanto affermato, dovrebbe iniziare una graduale risalita solamente nel secondo semestre dell’anno (anche in questo caso qualcosa di già sentito). Ma non finisce qui: il governatore infatti ha anche accennato alla possibilità di applicare un tasso negativo sui depositi e di praticare un tasso negativo sui prestiti alle banche. Sarà vero?

In sostanza il messaggio sarebbe proprio questo: meno austerità, obiettivo crescita. Un disco già sentito negli ultimi mesi, dove la tanto decantata ed auspicata (quanto impossibile) crescita, è stata indicata come obiettivo di tutti i singoli provvedimenti, sia europei che nazionali. Inutile girarci attorno: la crescita non c’è stata anzi, non c’è e non ci sarà. Le manovre attuate dalla BCE ricalcano quelle effettuate in passato, i cui effetti nefasti sono ancora davanti agli occhi di tutti. L’aumento del rischio percepito da parte del sistema, non può di certo essere tamponato solamente con il meccanismo unico di supervisione bancaria (la famosa unione bancaria) o con le politiche monetarie della Bce. La momentanea tregua del “differenziale” sui titoli di Stato non deve illudere.

Il perverso meccanismo dell’artificioso debito pubblico e delle speculazioni manovrate ad arte, rimangono lo spauracchio sventolato dai sicari economici al fine di indirizzare le politiche nazionali verso i dettami dell’Eurozona. E sappiamo benissimo in quale direzione vanno: riforme strutturali per distruggere lo stato sociale, precarizzazione del lavoro, privatizzazioni e dismissioni. Tutto in nome del nuovo dogma del pareggio di bilancio e del ferreo rigore, nonché del “rassicurare i mercati”.

Inutile che, con queste mosse, Draghi auspichi un miglioramento delle esportazioni al fine di arginare la crescente disoccupazione. La domanda, che per stessa ammissione del governatore potrebbe essere inferiore a quella prevista, non riuscirà a rilanciare la produzione, mentre le riforme economiche già avviate da vari Paesi, con risultati disastrosi come in Italia, contribuiranno ad aggravare il quadro.

Il culmine dell’assurdo il governatore lo ha però toccato arrivando ad affermare che le politiche di austerità hanno dato riscontri positivi nell’ambito dei conti pubblici, ma che è giunto il momento di distogliere l’attenzione dalle tasse e “tagliare le spese e puntare alla crescita”. Un po’ come segare un albero affinché prosperi.

Tagliare le spese va esattamente nella direzione opposta a quella che si dice di voler intraprendere a parole. L’aumento della spesa pubblica, basata su un progetto di politica monetaria realmente espansiva, è l’unico mezzo che attualmente potrebbe incrementare la domanda, rilanciare la produzione ed aumentare i posti di lavoro. Una ricetta che, unita alla svalutazione della moneta, è quella che sta adottando il Giappone con il nuovo corso “Abeconomico”. Svalutare per esportare, finanziare la spesa per abbattere disoccupazione e innalzare la domanda. Non è un caso che infatti la Germania, fautrice delle politiche di rigore di stampo europeista, si opponga strenuamente alla politica intrapresa dal Presidente Abe, che oltre a dimostrare con i propri risultati (come si vedrà tra un po’ di tempo) l’inefficacia dei rimedi in salsa Ue, danneggerebbe le esportazioni tedesche a causa dell’apprezzamento dell’euro sullo yen.

Naturalmente il Giappone può contare sulla propria sovranità monetaria, derivante dallo stretto controllo governativo sulla Bank of Japan, che gli permette di avere un tasso di disoccupazione limitato al 4,2% (su 127 milioni di abitanti) e un tasso di inflazione al -0,6% (febbraio 2013), senza preoccuparsi di un rapporto debito/Pil del 240%. Le nazioni dell’eurozona ovviamente non hanno più questo privilegio, e vedono costantemente erosa la propria sovranità nazionale, ceduta a fette sempre maggiori (con scuse sempre più fantasiose) ad organismi sovranazionali, col potere di decidere sul destino di 320 milioni di persone senza alcuna autorità, mandato, limitazione.

In ultimo Draghi si è detto soddisfatto per i dati sull’inflazione, all’1,2% annuo ad Aprile. Dato interessante, specialmente se raffrontato ad altre cifre, ancora più significative: 4.218 imprese hanno chiuso tra gennaio ed aprile (+13% sul 2012), disoccupazione all’11,7%, produzione industriale attuale ai livelli del 1986, -8 punti di PIL in 5 anni, debito pubblico a livelli record (oltre il 120%), credit default swap sovrani (Scds, i contratti derivati usati come assicurazione contro il rischio insolvenza dei titoli di Stato), il cui ruolo è definito come “strumento importante nella gestione del rischio”, hanno toccato la quota di 388 miliardi di dollari, rappresentando la quantità maggiore a livello mondiale (la Spagna è seconda con 212 miliardi di assicurazioni sul debito pubblico). A questo aggiungo il dato di 39 suicidi tra gennaio e metà marzo: il più delle volte piccoli e medi imprenditori che si tolgono la vita per insolvenza. Quanto vale un’inflazione bassa, se mantenuta tale con politiche che danno questi risultati?

La classe politica italiana, in questa preoccupante situazione riesce a trovare tempo per spartizioni di poltrone e battibecchi televisivi, ma non per tentare almeno di capire la vera direzione verso cui le scellerate politiche europeiste, da loro fedelmente eseguite in questi anni, ci stanno portando. Il nuovo Presidente del Consiglio Enrico Letta è già andato a prendere appunti nelle varie stanze dei bottoni europee, in merito alle direttive che dovrà adottare l’Italia per mantenere la “fiducia” dei mercati (oramai autentici sovrani). Dalle parole pronunciate da lui stesso appena ieri, la speranza di invertire la rotta intrapresa agli sgoccioli dell’ultimo governo Berlusconi, e proseguita a ritmi serrati sotto Monti, non ha diritto di cittadinanza. Sul nuovo esecutivo, l’influenza delle oligarchie massoniche e finanziarie mondiali, di cui alcuni membri hanno fatto o fanno parte, è più forte che mai.

C’è da credere che nessuno oserà pronunciare una sola parola contraria agli ordini che da Bruxelles e Berlino arriveranno ai faccendieri a Roma. Sovranità monetaria? Prima ancora bisognerebbe riconquistare quella politica.

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