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Libia nel caos, un dramma per l’Italia

di Mauro Indelicato

Mentre in Italia le discussioni sul futuro del Paese non riescono ad andare oltre ai guai giudiziari di Berlusconi ed al vetusto, oltre che mai esistito in realtà, dualismo destra/sinistra, gran parte della popolazione non si rende conto che i problemi cruciali italiani, passano al momento dalla Libia. Una Libia anarchica, nel caos più totale, come quella attuale, potrebbe essere un’autentica catastrofe per l’Italia, sia da un punto di vista economico che sociale.

In primis, nel Paese africano è da decenni che lo stivale ha importanti ed imponenti interessi economici, risalenti ai tempi di Mattei prima e del governo Gheddafi poi; l’Eni per esempio, grazie ai trattati di amicizia stipulati negli anni tra Tripoli e Roma, ha pompato enormi quantità di gas e petrolio del deserto libico, a prezzi di favore o comunque limitati rispetto a quello degli altri Paesi e proprio questo non è mai andato già ad un’altra ex potenza del Mediterraneo, la Francia, non a caso primo sponsor del bombardamento Nato del 2011.

Adesso l’Eni è ancora presente in Libia, ma è costretta per ragioni di sicurezza a lavorare a ranghi ridotti; infatti, non essendoci più, di fatto, alcuno Stato a controllare il territorio, gli stabilimenti dell’azienda italiana sono stati spesso oggetto di sabotaggi o rapine, tanto da costringere i vertici Eni a pagare una milizia armata appartenuta ai “ribelli” nella guerra del 2011, per proteggere gli stabilimenti. Ma ad oggi, rispetto al periodo di Gheddafi, l’Italia compra comunque il 40% in meno del petrolio dalla Libia, il che ci costringerà nell’immediato futuro, per evitare di rimanere senza riscaldamenti d’inverno, a cercare altri mercati e quindi possibilmente a comprare risorse a prezzi molti più elevati rispetto a quelli con cui ci si era accordato con il governo di Tripoli.

La fine dell’influenza italiana in Libia, ha portato quindi questa importante e drastica conseguenza nell’economia del bel Paese. Ma non solo: avere uno Stato quasi fallito e smembrato a poco più di 200 km da Lampedusa, vuol dire maggior pericolo di destabilizzazione del Mediterraneo e del canale di Sicilia. Questo vuol dire, in primo luogo, l’incremento incessante degli sbarchi; dal porto di Misurata, città in cui oramai nessun poliziotto si vede in giro, è partito il barcone della morte, che ha causato 360 vittime a Lampedusa lo scorso 3 ottobre e migliaia di africani sono pronti in queste ore sulle coste libiche a partire alla volta dell’Italia.

Il nostro Paese dunque, si ritrova costretto ad affrontare un’emergenza immigrazione molto complessa, senza avere, come nel caso di Gheddafi, una controparte formata da un governo stabile con cui cercare di trovare soluzioni comuni. Non esiste Stato, non esistono più quasi istituzioni, anche il primo ministro viene rapito e poi rilasciato a piacimento da milizie armate, dunque le frontiere del nostro Paese diventeranno sempre più calde e poco gestibili. Ma c’è da considerare anche altri aspetti, come quello del terrorismo; un territorio in mano a nessuno a pochi chilometri dalle coste italiane, è una base troppo ghiotta per essere lasciata vuota: chi vuol destabilizzare l’Europa, in Libia ha ampi margini di manovra, come nella Somalia degli anni ’90, con la differenza che Mogadiscio dista dall’Europa parecchi chilometri e non un’ora di aereo come Tripoli.

Insomma, l’Italia è costretta a guardare con sospetto alla Libia: purtroppo però, il nostro governo come ben si sa, non ha alcun margine di manovra in politica estera e pur sapendo che far cadere Gheddafi voleva dire trovarsi con una bomba ad orologeria di fronte le coste, ha dovuto concedere le proprie basi militari per permettere i bombardamenti su Tripoli e Bengasi. La Libia, dopo anni di benessere economico, oggi è in ginocchio, sconvolta e prostrata; il Paese europeo che ne trarrà più guai da tutto ciò, è senza dubbio l’Italia.

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