Primo Piano

Italia. Gli investitori stranieri? Restino pure a casa

di Mauro Indelicato

Con quella sua immagine da bravo manager, con tanto di giacca e cravatta, il bell’Enrico Letta ha azionato giovedì mattina la sirena che segna l’avvio dell’apertura di Wall Street: “Sono qui per dire agli stranieri di investire in Italia”. Ma che bravo, verrebbe da dire; o meglio, purtroppo lo dicono gli italioti, coloro che ancora non si sono rassegnati al fatto che ciò che affermano i telegiornali “tradizionali” corrisponde solo alla verità imposta dai partiti tradizionali. I media, da giorni tempestano con dichiarazioni di Enrico Letta rassicuranti, in cui fa intendere la volontà di “tranquillizzare” i mercati ed attrarre i famosi investimenti esteri, termine evocato da anni, sotto il quale tuttavia si cela un’intenzione tutt’altro che benevola di chi ha imposto l’esecutivo “Bilderberg II” all’Italia, ossia la svendita.

Analizziamo per un attimo la situazione: in primis, verrebbe subito da chiedere all’attuale premier, perché andare fino negli USA a chiedere a fantomatici magnati di “salvare” il Paese, invece di dare incentivi alle nostre imprese, tartassate da una tassazione soffocante? Ma poi, soprattutto, chi sarebbero gli stranieri che verrebbero ad investire in Italia? Non certo i piccoli imprenditori statunitensi, anche loro decisamente in crisi per via di un’economia americana che stenta e fatica parecchio dal 2007, così come non sarebbero assolutamente le piccole imprese vogliose di crescere sfruttando il sole ed il mare del bel paese. Per investimenti esteri, si intendono invece quei colossi multinazionali, che arrafferebbero quel poco che è rimasto in Italia, imponendo un modus operandi che farebbe solo crescere precariato e farebbe sparire ogni tutela per i lavoratori; il messaggio velato che Letta (e chi è dietro Letta) fa passare sotto la bella parola di “investimenti stranieri” è quindi il seguente: vuoi che l’Italia si salvi? Lavora di più, guadagna meno ed accontentati dei contratti a tempo.

Non solo centri commerciali o catene di fast food o alberghi di sceicchi arabi piazzati al posto di riserve naturali, la svendita dell’Italia proseguirà con la cessione dei pochi gioielli industriali rimasti a cui, grazie anche a ciò che gli economisti chiamano crisi, sarà più facile applicare sopra il cartello verde con scritto “vendesi”. Il fatto che Enrico Letta va a Wall Street a dire a tutti di investire sullo stivale, equivale a dire “Ok amici, siamo pronti. L’Italia è pronta adesso a rinunciare a tutto il suo welfare state, che la colonizzazione definitiva abbia inizio”. Certo, a chi stenta nel vedere dietro a tutto ciò una manovra preordinata, di sicuro comunque si può ben vedere almeno una mossa anche solo politicamente inadeguata a risolvere i problemi del nostro martoriato Paese; l’Italia infatti, come tutta l’Europa, avrebbe maggior bisogno di riscoprire il rispetto per lo stato sociale, per i diritti di chi è economicamente meno agiato e di chi non arriva a fine mese.

Riscoprire insomma, il concetto di unità e comunità, nella quale, agevolando le nostre sane potenzialità, potremmo ridare competitività alle piccole e medie imprese (vero perno dell’economia italiana da sempre), senza rinunciare od intaccare lo stato sociale. Ma in un’Italia che, al cospetto della catastrofe sociale in atto ed al cospetto di una generazione praticamente saltata, con una disoccupazione giovanile che ha sforato il 60%, rimane distratta dalle dichiarazioni di un imprenditore alimentare e pensa ancora alle sorti giudiziarie di Berlusconi, non ci si può certo aspettare una levata di scudi su temi che hanno a che fare con l’esistenza stessa del tessuto sociale. L’unica speranza, è che quando ci si accorgerà delle mostruosità politiche in atto, non sia troppo tardi per rimediare.

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