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Le forze in campo nell’aggressione allo Yemen

di Salvo Ardizzone

Nella serata del 25 marzo, il re saudita Salman bin Abdulaziz ha dato il via all’Operazione Decisive Storm, con cui intende soffocare i successi che il movimento Ansarullah sta ottenendo in Yemen. La situazione è precipitata negli ultimi giorni quando, dinanzi al continuare dei maneggi del presidente Hadi, che da Sana’a era fuggito ad Aden, gli Houthi hanno rotto gli indugi dilagando nel Paese. A quel punto, Hadi è fuggito a Riyadh, sotto la tutela saudita; domenica sarà al Cairo per partecipare al vertice della Lega Araba che avrà al centro la crisi yemenita.

Nell’Operazione Decisive Storm, l’Arabia ha accanto altri nove Paesi: Marocco, Egitto, Sudan, Emirati, Qatar, Bahrein, Kuwait, Giordania e Pakistan; dei componenti del Consiglio del Golfo, dominato da Riyadh, solo l’Oman, che confina con lo Yemen, si è rifiutato di partecipare. C’è un decimo Paese che partecipa, anche se in maniera più discreta: Israele, che fornirà quanto in suo potere per colpire il movimento di resistenza sciita. Gli Stati Uniti, dal canto loro, forniscono alla coalizione supporto logistico e di intelligence, senza impegnarsi direttamente.

Sul campo, i sauditi dichiarano di aver schierato 150mila uomini sul confine yemenita, mentre l’aviazione impegna 100 velivoli; a parte quelli degli aerei, i numeri delle forze di terra sembrano “gonfiati”, vista la consistenza complessiva dell’Esercito e della Guardia sauditi. Il Marocco e la Giordania hanno inviato 6 F-16 ciascuno, il Kuwait ed il Bahrein 15 F/A-18 e 15 F-16, il Qatar 10 Mirage 2000, gli Emirati 30 F-16, il Sudan 3 velivoli, mentre l’Egitto oltre ad inviare F-16, fornirà un supporto navale e truppe.

Secondo le indiscrezioni, l’Operazione dovrebbe svolgersi con una serie di attacchi aerei tesi a indebolire le forze Houthi, mentre dal mare la marina egiziana (che ha già 4 unità nell’area), insieme ad altre unità del Golfo, dovrebbe instituire un blocco navale per impedire l’arrivo di aiuti dall’estero; successivamente, secondo gli sviluppi, dovrebbe partire un’offensiva da terra che vedrebbe reparti egiziani e sudanesi affiancarsi a quelli del Consiglio del Golfo, mentre dal mare dovrebbero essere effettuati due sbarchi nell’area del Mar Rosso e nell’area di Aden da parte delle forze egiziane.

È un piano assai complesso che, oltre a coordinare massicce azioni diverse su un vasto territorio, prevede di far operare insieme assetti militari che hanno poco in comune e non hanno alcuna esperienza di sbarchi o di penetrazioni di colonne in un vasto territorio aspro e nemico. Per adesso proseguono i raid aerei che stanno mietendo vittime a diecine fra la popolazione, suscitando l’ira generale contro la coalizione montata dai sauditi, mentre le colonne Houthi continuano ad avanzare nel Paese, occupando città e villaggi senza trovare sostanzialmente ostacoli nell’Esercito che, nella gran parte, ha solidarizzato con loro.

Nel frattempo, Cina, Russia, Ue ed Iraq hanno criticato in vario modo l’iniziativa, sollecitando la cessazione degli attacchi e una soluzione politica, mentre Iran e Siria hanno protestato duramente per quella che è un’aggressione militare di Riyadh.

La situazione è in piena evoluzione, ma è facile prevedere che un conto sono gli attacchi aerei, nei fatti indiscriminati, condotti senza avversari nel cielo, un altro sarebbe mettere “scarponi sul terreno”; in un territorio montuoso e reso sempre più ostile dall’aggressione, reparti inesperti come la maggioranza di quelli sauditi o del Golfo (al più abituati a reprimere dimostranti) e comunque non abituati ad agire insieme (come l’accozzaglia di contingenti dei vari Paesi), andrebbero incontro a perdite pesanti con un’usura di mezzi e uomini assai alta.

Certo è che la famiglia reale saudita, di fronte alla prospettiva di uno Yemen indipendente, liberato dalla sua asfissiante tutela, dai gruppi di potere che essa foraggiava e dai tagliagole qaedisti che manovrava a piacimento, ha deciso di metterci la faccia. Un rischio notevole per chi le sue guerre le ha sempre combattute con i dollari e il petrolio, lasciando ad altri (Usa, Israele, bande di terroristi prezzolati e così via) il compito di misurarsi sul campo.

Se ha deciso d’usare l’infinito parco di costosi armamenti che fin’ora erano rimasti nei depositi, è perché ha compreso che gli equilibri nel mondo stanno mutando e il sistema di mostruosi privilegi di cui gode è in pericolo. Finalmente.

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