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Il buco nell’ozono sta guarendo?

Il buco nell’ozono si sta restringendo, questo affermano gli scienziati del Mit (Massachusetts Institute of Technology) che a quanto pare avrebbero la prima e chiara prova che il buco nell’ozono sopra l’Antartide si stia restringendo. I ricercatori del Mit e di altri istituti hanno osservato un ridimensionamento del buco di oltre quattro milioni di chilometri quadrati, stando a quanto riferisce il sito dello stesso Massachusetts Institute of Technology, circa la metà degli Stati Uniti.

La contrazione dell’area “malata” ha subito alcuni rallentamenti in corrispondenza di eruzioni vulcaniche particolarmente importanti, ma “complessivamente il buco nell’ozono sembra sulla via della guarigione”. Gli autori di un nuovo studio hanno valutato i cambiamenti dell’area con criteri stagionali e di altitudine e le osservazioni sarebbero state decisive per il bollettino ottimista. Un miglioramento, sottolinea lo studio pubblicato su Science, dovuto certamente agli effetti del Protocollo di Montreal per la riduzione delle sostanze che minacciano lo strato di ozono, entrato in vigore nel 1989. Un miglioramento dato anche dal fatto che da alcuni anni stanno scomparendo definitivamente dagli spray le sostanze responsabili del buco nell’ozono, i clorofluorocarburi (Cfc), messi al bando gradualmente dal 1987 dal Protocollo di Montreal.

Il 98% dei Cfc sono già spariti dagli spray. Gli ultimi rimasti, quelli usati negli inalatori anti-asma, saranno eliminati a breve. Il Protocollo di Montreal è stato ratificato da tutti i 196 Paesi aderenti alle Nazioni Unite diventando così il primo accordo ambientale ad avere una valenza globale. Il protocollo, firmato a Montreal nel 1987 per proteggere lo strato di ozono da alcune sostanze che lo mettevano a rischio, ha avuto un impatto importante anche sul clima in quanto le sostanze killer dell’ozono sono dei potenti gas serra.

Il buco nell’ozono e Protocollo di Montreal

La storia di questo trattato ambientale è una storia di successo. Fissando infatti un calendario stringente per la messa a bando dei Cfc, degli halon, degli Hcfc e del bromuro di metile permetterà allo strato di ozono di ritrovare i suoi valori normali a partire dal 2050. Questo riconoscimento universale del protocollo, secondo il Commissario europeo all’ambiente Stavros Dimas, dimostra che è possibile arrivare a un accordo internazionale su questioni ambientali di grande rilevanza. Ma un problema resta ancora aperto. Le sostanze dannose allo strato di ozono messe al bando dal Protocollo di Montreal sono state sostituite in gran parte dagli idrofluorocarburi (Hfc) che hanno un potenziale di riscaldamento del pianeta di gran lunga superiore a quello dell’anidride carbonica, il principale gas ad effetto serra.

Un aggiornamento del Protocollo di Montreal potrebbe evitare l’emissione di Hfc per l’equivalente di cento miliardi di tonnellate di CO2 entro il 2050, risparmiando alla Terra un aumento della temperatura di mezzo grado entro la fine del secolo. Le linee generali per un avanzamento dell’accordo ricalcano quelle che hanno dato vita al primo patto di Montreal: un impegno da parte dei Paesi sviluppati ma anche di quelli in via di sviluppo, adeguatamente accompagnati nel taglio degli Hfc con finanziamenti che coprano i costi della transizione. Se necessario, saranno concesse deroghe che permettano di sviluppare alternative migliori agli attuali sistemi di condizionamento dell’aria nei climi caldi.

Lo scontro è sui tempi: quanto dovrà essere di manica larga il Protocollo? L’India chiede di non rispettare nessun limite da qui al 2031, mentre Usa, Ue e Stati insulari chiedono che venga stabilito un tetto vincolante molto prima. I problemi ambientali stanno a dimostrare come le nazioni, quando si uniscono formando un fronte comune, possono trovare soluzioni a qualsiasi problema di caratura mondiale.

di Cinzia Palmacci

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