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Hebron, coloni e militari attaccano civili palestinesi

Hebron – Domenica sera, le Forze di occupazione israeliane (Iof) hanno preso d’assalto la moschea di al-Dawa nella città di Beit Hanina, a nord-est di Gerusalemme. Il raid è stato effettuato con il pretesto che alcuni cittadini locali avevano violato le misure di emergenza del coronavirus e pregato all’interno della moschea. Secondo fonti locali, l’Iof ha multato ogni fedele 500 sicli e la Moschea Mu’addin di cinquemila sicli. 

Ad Hebron, un’orda di coloni ebrei estremisti ha attaccato sotto la protezione dei militari la casa del cittadino palestinese, Mufid al-Shirbati, nella via al-Shuhada della Città Vecchia, che è stata chiusa in seguito al massacro della Moschea Ibrahimi del 1994. I coloni hanno scagliato pietre contro la casa, radunandosi all’esterno causando il panico tra i residenti.

Shirbati e la sua famiglia vivono in una piccola casa fatiscente, che ha ereditato dal padre. L’autorità israeliana per l’occupazione impedisce a Shirbati di effettuare riparazioni o ampliare la casa, riporta Palinfo.

La strage alla Moschea di Hebron

Il 25 febbraio del 1994, nella Moschea Ibrahimi a Hebron, si è consumato uno dei più efferati massacri della storia recente. La Moschea era piena di fedeli per la preghiera del tramonto; all’improvviso, fece irruzione Baruch Goldstein, colono di Kiryat Arba. Goldstein era un fervente seguace della setta ultrarazzista del rabbino Meir Kahane, che sosteneva l’espulsione forzata di tutti i palestinesi dalla biblica “Grande Israele”. Non venne scelto un giorno a caso per il massacro. Il 25 febbraio era infatti il giorno in cui cadeva la festa del Purim (che commemora la liberazione del popolo ebraico nell’antico Impero Persiano, come riportato nel libro di Ester).

Affiancato da altri due fanatici armati cominciò a sparare all’impazzata sui fedeli inermi ed esterrefatti. Nei pressi della moschea, i militari dell’esercito israeliano non solo non intervennero, ma si godettero il “concerto” di urla e spari e, addirittura, tentarono di ritardare i soccorsi, impedendo l’accesso delle ambulanze. I tappeti su cui i fedeli stavano pregando furono impregnati del sangue di 29 vittime innocenti e di più di 125 feriti gravi.

Goldstein non uscì vivo dal luogo del massacro: fu picchiato e ucciso dai superstiti e, in seguito, non si farà cenno alla presenza dei due complici. Una commissione d’inchiesta, ovviamente israeliana, chiarirà dopo pochi mesi dal massacro che Goldstein agì da solo. La sua tomba diverrà meta di pellegrinaggio da parte di coloni fanatici appartenenti alla sua setta. Nei giorni successivi alla strage, esplosero le proteste dei civili palestinesi, tutte sedate nel sangue dall’esercito israeliano che uccise 25 persone, mentre il regime israeliano condannò, almeno formalmente, il massacro e prese le distanze dalla setta a cui Goldstein apparteneva.

di Yahya Sorbello

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