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Svolta in Vaticano, inizia l’era Parolin

di Mauro Indelicato

Inizia quindi un nuovo corso in seno alla diplomazia vaticana; va via Tarcisio Bertone (anche se, come abbiamo noi stessi anticipato a giugno, era da tempo che l’ex arcivescovo di Genova era di fatto dimissionato) ed arriva Pietro Parolin. Un nome che, da un punto di vista politico, sa di compromesso; si perché, come si affermava nei giorni successivi al conclave, ad un Papa non italiano, corrisponde un Segretario di Stato italiano: Parolin è italiano, ma ha in sé una formazione ed una carriera sudamericana, essendo stato a lungo nunzio apostolico in Venezuela. Dunque, anche se si conferma la regola del segretario di stato italiano, l’impronta sudamericana data da Papa Francesco al governo della Chiesa è netta ed evidente.

Parolin è il più giovane segretario di Stato vaticano da 80 anni a questa parte, vale a dire che per trovare un porporato della sua età a rivestire questa importante e delicata carica, bisogna scendere all’epoca di Papa Pio XI ed il segretario in carica allora era un nome molto pesante, Eugenio Pacelli, futuro Papa Pio XII. Una nomina comunque, non molto aspettata; Parolin ha 58 anni, non è una figura di spicco a livello mediatico, è sempre stato dietro le quinte da questo punto di vista ed esce dalle nebbie della scuola diplomatica vaticana. Da questa scelta compiuta da Papa Francesco, si possono denotare due cose: la prima, molto importante, la scelta di tornare a far guidare la diplomazia vaticana, tra le più importanti al mondo, ad un diplomatico, dopo la poco felice esperienza del salesiano Bertone. La seconda invece, corrisponde alla volontà di ridimensionare la segreteria di Stato da principale dicastero di curia a “Ministero degli esteri” vaticano; insomma, mentre per ora il segretario di stato è una sorta di primo ministro, in futuro (presumibilmente da ottobre) diventerà un ufficio che si occuperà soltanto di diplomazia, lasciando il ruolo di principale coordinatore dei dicasteri ad un “moderatore”, figura nuova tra i palazzi apostolici, ma già diffusa in diverse diocesi.

La scelta poi di un diplomatico legato a doppio filo con la terra d’origine del Pontefice, il sud–America, segna il definitivo transito ad una Chiesa americano-centrica, lasciando in periferia l’Europa. Un passaggio estremamente storico per la Santa Sede, che persegue di fatto l’andamento del contesto internazionale attuale, che vede nei paesi sud–americani ed asiatici le comunità più rampanti, mentre nel vecchio continente un territorio in crisi, tanto economica quanto spirituale e vocazionale. Prende corpo quindi, la linea estera futura della Chiesa di Bergoglio, più distaccata rispetto alle linee degli ultimi papati e più legata invece a nuove prospettive. Intanto ad ottobre, la riforma della curia elaborata dalla commissione cardinalizia ad hoc, presieduta dal cardinal Maradiaga, dovrebbe essere annunciata prima ed entrare in vigore poi; molte le attese, dallo snellimento degli uffici, al dimezzamento dei dicasteri, oltre che ad un giro di vite che mira ad eliminare diverse figure che negli anni hanno fatto parlare di sé più per cronaca che per spiritualità.

Il segretario di Stato uscente, Tarcisio Bertone, lascia non senza rammarico; durante una celebrazione, ha fatto sapere che il proprio giudizio sul suo operato rimane positivo, di aver agito sempre come un fedele collaboratore del Papa e di aver pagato lo scotto di “vipere” che hanno addossato sopra la propria persona tutti i mali derivanti dai tanti (troppi) scandali di questi anni, a partire da Vatileaks. Si chiude un’epoca quindi: un’epoca certamente torbida, che passa anche per le dimissioni di un Pontefice; quali gli scenari adesso dentro le mura leonine? Troppo presto per dirlo, ma neanche troppo tardi per immaginare una Chiesa meno sorda a diverse istanze che provengono dai fedeli e dalla parte bassa del clero, sempre più insofferente verso una nomenclatura di curia che ormai ha fatto il suo tempo e merita un deciso ridimensionamento.

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