Svolta decisiva alle primarie americane
Le primarie dell’Indiana hanno definitivamente spalancato a Donald Trump le porte alla nomination repubblicana; sull’altro fronte, malgrado la vittoria ai punti di Sanders, la candidatura di Hillary Clinton alla Casa Bianca è ormai da tempo assicurata.
In Indiana, Trump non ha solo vinto i delegati in palio, ma ha costretto l’establishment repubblicano a puntare su di lui, abbandonando un candidato scomodo a cui s’era aggrappato solo per ripiego come Ted Cruz. Vista la situazione, Cruz, l’uomo dei Tea Party ed ultimo dei candidati credibili rimasti a contendere a Trump la nomination, si è ritirato, spianando la strada al magnate di New York.
A questo punto non vi sarà più battaglia alla convention di Cleveland, dove The Donald avrebbe rischiato grosso d’essere scippato della nomination: gli oligarchi repubblicani hanno compreso che senza candidati solidi da opporgli, tentare ancora d’ostacolarlo sarebbe stato più disastroso che appoggiarlo. Ma il loro sostegno, a lungo cercato dietro le quinte malgrado le bordate che gli sparava in pubblico, per Trump avrà un prezzo, e salato.
Da tempo sono in corso trattative; l’establishment repubblicano pretende garanzie di non essere “scaricato” dopo le elezioni, ma soprattutto che il magnate si assoggetti alle esigenze delle lobby che l’Old Party rappresenta, e che abbandoni le posizioni populiste giudicate “liberal” in materia di stato sociale e le sue chiusure protezionistiche in tema di commercio internazionale.
In cambio, oltre a rinunciare ad agguati alla convention e a dargli tutto l’appoggio elettorale, Trump avrebbe un forte, anche se discreto, sostegno economico, indispensabile per misurarsi con una Clinton pronta a spendere fino a un miliardo (!) di dollari per assicurarsi la Presidenza.
Sul fronte democratico, invece, tutto è già scritto da tempo: troppo distacco fra la mostruosa macchina elettorale dell’ex first lady, appoggiata senza riserve da Wall Street, e i giovani volontari di Sanders. Ciò che stupisce, semmai, è come il senatore del Vermont sia riuscito a contendere fino ad ora la nomination alla Clinton. Il suo messaggio radicale, dichiaratamente socialista (parola che equivale a una bestemmia nella patria dell’iperliberismo), ha suscitato un entusiasmo e una partecipazione che non si vedeva da decenni, soprattutto fra i giovani, risvegliando la voglia di giustizia sociale in una fetta tutt’altro che trascurabile di una società che porta su di sé tutti gli squilibri e le ferite del capitalismo più rapace.
Sanders è da tempo consapevole che la nomination è persa, come pure sa bene che, vista l’età, non può avere un futuro politico, ma grazie alle tantissime donazioni della gente intende condurre fino in fondo la sua battaglia politica che trova sempre maggiori consensi, per far si che la Clinton accolga nella sua piattaforma programmatica almeno alcune delle sue istanze, soprattutto quelle sull’estensione dello stato sociale.
Resta da vedere se l’ex first lady, che si vede già alla Casa Bianca ed è impegnata a conquistare l’americano-medio per sbaragliare Trump, vorrà recepire un messaggio che si va diffondendo rapidamente su una vasta fascia di popolazione, soprattutto fra le nuove generazioni, ma che resta comunque minoritario.
Sia come sia, con le elezioni che divengono un affare fra la Clinton e Trump, Hillary è già seduta nello Studio Ovale. Una manna per la grande finanza e le multinazionali di cui è la referente, che detteranno più che mai la politica di Washington.