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Sul prossimo attacco su Gaza: ecco perché l’attuale status quo è precursore di una guerra

Traduzione a cura di Irene Masala

di Ramzy Baroud

Schermata 2016-02-19 a 10.50.23Non è vero che ci sono state solo tre guerre da quando Hamas ha vinto le elezioni parlamentari del 2006 nei Territori Palestinesi Occupati. Ci sono state altre guerre, giudicate insignificanti o meri confronti. Durante l’operazione Returning Echo del marzo 2012, per esempio, sono state uccise e ferite più di cento persone. Ma a causa del bilancio dei morti, che comparato con quello di altri attacchi è sembrato quasi essere irrilevante, questa non viene mai citata come “guerra” di per sé.

Secondo questa logica, le cosiddette operazioni Cast Lead (2008-9), Pillar of Defense (2012) e, ultima in questa lista di morte, Protective Edge (2014) sono state gravi  al punto da essere annoverate in dibattiti di rilevanza, specialmente quando si affronta la prospettiva di una nuova guerra di Israele a Gaza.

È importante considerare che la maggior parte dei media, mainstream e non, aderiscono alla classificazione di guerra fatta da Israele, non a quella dei palestinesi. Per esempio, i palestinesi di Gaza riferiscono al loro ultimo confronto con Israele come alla battaglia di “Al-Furqan”, nome che quasi nessuno ha sentito nominare in riferimento a quella guerra.

Seguendo i discorsi di guerra israeliani, il principale fattore nel processo di comprensione della guerra contro la resistenza oltrepassa quello del linguaggio in altre aree. La sofferenza di Gaza non è mai cessata, non dalla ultima offensiva, né dalla precedente o da quella ancora prima. Ma quando Israele inizia a ripensare alla guerra come opzione reale, solo allora molti di noi riprendono la discussione su Gaza e su tutte le varie possibilità di violenza che ci attendono.

Il problema di relegare Gaza nel silenzio finché non iniziano a cadere le bombe israeliane è parte del pensiero collettivo israeliano – sia del governo che della società. Gideon Levy, uno dei pochi giornalisti israeliani dei media mainstream empatici con la causa palestinese ha scritto riguardo a ciò in un recente articolo pubblicato sul quotidiano Haaretz: “La dipendenza dalla paura e l’eterno crogiolarsi nel terrore di Israele ricorda improvvisamente l’esistenza nelle vicinanze del ghetto”, ha scritto in riferimento a Gaza e al suono dei tamburi da guerra israeliani. “Solo così ci ricordiamo di Gaza. Quando si spara, o almeno quando si scava… (solo allora) ci si ricorda della sua esistenza. L’Iran non è più all’apice della propria agenda. La Svezia non è abbastanza spaventata. Hezbollah è occupato. Così torniamo a Gaza”.

In realtà, il passato estremamente violento di Israele a Gaza non dipende dal relativo controllo di Hamas su un territorio terribilmente povero e assediato, né è, come vorrebbe la saggezza convenzionale, relazionato ai settarismi palestinesi. Di sicuro la resistenza di Hamas è un forte incentivo per Israele a lasciare Gaza sola, e la pietosa faziosità palestinese raramente aiuta la situazione. In ogni caso, il problema di Israele è rappresentato dall’idea che ci sia anche una sola entità palestinese che osi sfidare la sua supremazia, e che osi resistere.

Inoltre, anche l’argomentazione che la resistenza, armata in particolare, faccia infuriare ancor più Israele è corretta. La resistenza armata può accelerare la rappresaglia di Israele e l’intensità della sua violenza ma, come stiamo assistendo in Cisgiordania, nessuna forma di resistenza è mai stata ammessa. Non ora, non da quando l’Autorità palestinese è stata essenzialmente reclutata per controllare la popolazione palestinese, e certamente non da quando è iniziata l’occupazione militare israeliana nel 1967.

Israele vuole avere il completo monopolio della violenza, e questo è tutto. Una rapida scansione della storia di Israele contro la resistenza palestinese, in tutte le sue forme, è indicativa del fatto che la narrativa di Israele vs Hamas sia sempre riduttiva, dovuta in parte al fatto che è politicamente conveniente per Israele, ma anche utile per le lotte interne dei palestinesi.

Fatah, che era più il grande partito politico palestinese finche Hamas non ha vinto 76 seggi su 132 nel Consiglio legislativo nelle prime elezioni del 2006, ha giocato un ruolo importante nella costruzione di quel racconto fuorviante, quello che vede le guerre del passato e l’attuale conflitto come una lotta esclusiva tra Hamas, come rivale politico, e Israele.

Quando sette combattenti di Hamas sono stati recentemente uccisi dopo il crollo di un tunnel – ricostruito dopo esser stato distrutto da Israele durante la guerra del 2014 – Fatah ha rilasciato una dichiarazione apparsa su Facebook. La dichiarazione non proclamava solidarietà nei confronti dei vari movimenti di resistenza che hanno operato in circostanze terribilmente dolorose e sotto incessante assedio per anni, ma conteneva il biasimo per i “mercanti di guerra” – in riferimento ad Hamas – che, secondo Fatah, “non sanno far altro che seppellire i loro ragazzi”.

Ma quali altre opzioni avrebbe la resistenza di Gaza in realtà?

Il governo di unità nazionale, sancito da Fatah e Hamas con l’accordo Beach Refugee Camp nell’estate del 2014, non ha prodotto risultati concreti, lasciando Gaza senza un governo funzionante, e un assedio sempre più aggravato. Questa realtà, per il momento, segna il declino di una soluzione politica che coinvolga una leadership palestinese unificata.

Consegnarsi a Israele è la peggiore delle opzioni possibili. Se la resistenza di Gaza avesse deposto le armi, Israele avrebbe tentato di ricreare uno scenario di guerra come quello del Libano post-1982, quando placarono i nemici usando estrema violenza e affidandosi ai loro alleati per riorganizzare il successivo panorama politico. Mentre alcuni palestinesi potrebbero facilmente ricoprire quel ruolo disdicevole, la società di Gaza è probabile che li respinga completamente.

Un terzo scenario in cui Gaza possa ritenersi libera e, allo stesso tempo, venga rispettata la volontà politica del popolo palestinese è improbabile che si concretizzi presto, in considerazione del fatto che Israele non ha alcuna ragione di sottoporsi a questa opzione, almeno per ora.

Questo lascia l’opzione guerra come l’unica, vera e tragica possibilità. L’analista israeliano, Amost Harel, ha sottolineato nel suo articolo che “il desiderio di Hamas di aumentare gli attacchi in Cisgiordania potrebbe innescare una nuova guerra a Gaza”, ecco il ragionamento dietro questa logica.

“Fino ad oggi, Israele e le forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese sono riusciti a far naufragare la maggior parte dei piani di Hamas”, ha scritto riferendosi all’accuse che Hamas stia tentando di cooptare la rivolta in corso in Cisgiordania.

In uno dei diversi scenari che egli offriva, “il primo prevede un attacco di Hamas in Cisgiordania che susciterà una risposta israeliana contro il movimento a Gaza e coinvolgerà le parti in un nuovo confronto”.

Nella maggior parte delle analisi mediatiche israeliane, vi è un quasi totale disinteresseisrael control the narrative per le motivazioni palestinesi, a parte una minima inclinazione casuale a commettere atti di “terrorismo”. Naturalmente, la realtà raramente è vicina alla versione egocentrica degli eventi fatta da Israele, come giustamente sottolineato dallo scrittore israeliano Gideon Levy.

Dopo la sua ultima visita a Gaza, Robert Piper, inviato delle Nazioni Unite e coordinatore umanitario per i Territori Occupati, ha lasciato la Striscia di Gaza con una triste valutazione: sono state ricostruite solo 859 case distrutte durante l’ultima guerra. Ha accusato l’assedio per la sofferenza subita di Gaza, ma anche la mancanza di comunicazione tra il governo di Ramallah e il movimento di Hamas a Gaza.

“Non c’è nessun cambiamento nella fragilità di fondo di Gaza”, ha detto all’Afp, e la situazione “rimane su una traiettoria francamente disastrosa di sottosviluppo e radicalizzazione, per quanto posso dire”.

Del blocco, ha detto, “è un blocco che impedisce agli studenti di raggiungere le università e di proseguire gli studi in altri luoghi. È un blocco che impedisce alle persone malate di ottenere l’assistenza sanitaria di cui hanno bisogno”.

In queste circostanze, è difficile immaginare che non si profili un’altra guerra. Le strategie tattiche, politiche e militari di Israele, così come si presentano oggi, non permetteranno a Gaza di vivere con un minimo grado di dignità. D’altra parte, la storia della resistenza di Gaza rende impossibile immaginare uno scenario in cui la Striscia di Gaza sollevi una bandiera bianca e attenda la punizione assegnata.

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