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Sudan, l’impronta strategica del Mossad

Mentre le Forze di supporto rapido (RSF) consolidano il controllo sul Sudan occidentale con la caduta di el-Fasher, la capitale del Darfur settentrionale, aumentano gli interrogativi sul coinvolgimento di attori stranieri, in particolare Israele e Stati Uniti, nel delineare la traiettoria della guerra civile nel Paese.

Sebbene Israele non abbia formalmente riconosciuto né le RSF né le Forze Armate Sudanesi (SAF), prove crescenti suggeriscono che si sia silenziosamente orientato verso le RSF, dando priorità ai guadagni strategici a lungo termine rispetto alle prospettive diplomatiche a breve termine. Gli Stati Uniti, nel frattempo, hanno pubblicamente condannato le atrocità delle RSF, ma hanno fatto ben poco per impedire ai loro più stretti alleati di sostenere il gruppo.

Cambiano le linee del fronte

Il 26 ottobre, le RSF hanno conquistato el-Fasher, l’ultima roccaforte delle SAF in Darfur. La caduta della città ha segnato una triste pietra miliare: le RSF ora detengono di fatto il controllo su oltre un quarto del territorio sudanese. Secondo le Nazioni Unite e testimoni oculari, la presa del potere è stata accompagnata da uccisioni di massa, con i combattenti delle RSF che avrebbero separato uomini da donne e bambini prima di giustiziare i civili. Il governo sudanese ha dichiarato che almeno 2mila persone sono state uccise, mentre fonti mediche citate da Al Jazeera e testimoni locali suggeriscono che il numero reale potrebbe essere significativamente più alto. La Croce Rossa ha descritto la situazione come “assolutamente al di là di quanto possiamo considerare accettabile”, avvertendo che decine di migliaia di persone sono intrappolate senza cibo, acqua o assistenza medica.

Gli Stati Uniti hanno ufficialmente definito genocidio le azioni di RSF nella città di Geneina, nel Darfur, durante una fase iniziale della guerra civile durata due anni e mezzo, e la caduta di el-Fasher potrebbe presto aggiungersi a tale definizione.

Guadagni geopolitici

La svolta di Israele verso la RSF non è ideologica ma strategica, transazionale e profondamente radicata nel calcolo regionale.

Le RSF ora controllano aree chiave del Sudan, tra cui parti del Darfur e del Kordofan. Il sostegno alle RSF offre a Israele un ruolo nell’ordine postbellico, soprattutto se il comandante delle RSF, Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemedti, emergerà come il principale mediatore di potere del Sudan.

Accesso al Mar Rosso: il Sudan confina con il Mar Rosso, un corridoio vitale per la sicurezza marittima e il commercio di Israele. Le conquiste territoriali delle RSF lo avvicinano alle rotte logistiche di Port Sudan e del Mar Rosso, offrendo a Israele un’influenza indiretta su una regione sempre più contesa dalle potenze del Golfo Persico e dai rivali globali.

Nexus Emirati Arabi Uniti-Israele-RSF: gli Emirati Arabi Uniti, principale sostenitore di RSF, sono anche uno dei più stretti alleati regionali di Israele. Il coordinamento dell’intelligence tra il Mossad e i servizi emiratini avrebbe facilitato il supporto segreto a RSF, comprese tattiche di guerra con droni e logistica sul campo di battaglia.

Calcolo della normalizzazione: Hemedti ha manifestato la sua disponibilità a finalizzare la normalizzazione del Sudan con Israele, un processo bloccato dal 2020. Anche il generale Abdel Fattah al-Burhan, comandante delle Forze Armate Saudite e leader sudanese riconosciuto a livello internazionale, ha espresso interesse per la normalizzazione, ma l’impegno di Israele si è orientato in modo più deciso verso Hemedti e le RSF. A differenza della leadership delle SAF, appesantita da rigide strutture di comando e da un retaggio di repressione, le RSF si presentano come flessibili e pragmatiche, nonostante il loro record di atrocità di massa.

Il ruolo degli Stati Uniti in Sudan

Nonostante la condanna di RSF, gli Stati Uniti hanno fatto ben poco per frenare i loro sponsor stranieri, principalmente Emirati Arabi Uniti e Israele. Questa contraddizione rivela una verità più profonda: la condanna di Washington potrebbe funzionare più come un gesto retorico che come una direttiva politica.

Gli Stati Uniti mantengono strette partnership strategiche sia con gli Emirati Arabi Uniti che con Israele, nonostante il loro coinvolgimento nell’ascesa di RSF. La normalizzazione del Sudan con Israele rimane un obiettivo di politica estera statunitense. Se RSF fosse l’unico attore disposto a finalizzare tale accordo, Washington potrebbe tollerare silenziosamente l’intervento del Mossad, anche se ciò comprometterebbe la sua stessa designazione di genocidio.

Il sostegno di Israele non è ufficiale e passa attraverso i canali dell’intelligence, il che offre a entrambe le parti una plausibile possibilità di negazione. Il risultato è una politica che segnala chiarezza morale ma consente ambiguità strategica: un segno distintivo della realpolitik in un decennio di guerre in continua proliferazione.

di Redazione

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