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Sudan, l’ennesimo fallimento dell’Onu

di Salvo Ardizzone

La Corte Penale Internazionale dell’Aja (Cpi) ha sospeso le indagini per crimini di guerra, contro l’umanità e genocidio nei confronti del presidente sudanese Omar al-Bashir, cedendo nel braccio di ferro con l’Unione Africana (Ua) iniziato nel 2009, quando per quei crimini venne spiccato un mandato di cattura internazionale rimasto lettera morta.

La Ua aveva contestato l’operato della Corte, bollandolo come un’ingerenza inammissibile negli affari interni degli Stati, e aveva accusato la Cpi di parzialità, perché la gran parte degli indagati e condannati erano capi di Stato e personalità africane. In realtà, la sfida rivolta all’Aja è frutto dell’ipocrisia della Corte, che finisce per perseguire solo quei leader di Stati con un modesto peso economico e politico, e dell’arroganza degli uomini di potere africani, personaggi il più delle volte squallidi, che usano qualsiasi mezzo per mantenere il comando e i privilegi per sé e le proprie cerchie, che non intendono essere perseguiti per i propri crimini con la scusa che, altrove, leader di Paesi più potenti non vengono neppure sfiorati.

Tornando al Sudan, il nodo del problema è il clamoroso fallimento della missione Unamid, la più grande al momento in atto da parte dell’Onu, che mette in campo circa 20mila uomini (quasi tutti forniti dalla Ua) con un costo annuo di 1,5 Mld di dollari; lanciata per bloccare l’autentico genocidio perpetrato nel Darfur da parte del Governo centrale e dalle milizie da esso foraggiate (i famigerati Janjawid), si è tradotta in un miserabile flop.

Dietro la motivazione ufficiale (“incomprensioni” con Khartoum che “avrebbero” limitato l’operatività dei caschi blu), si celano gli inconfessabili motivi di sempre che hanno accompagnato tutte le “imprese” del Palazzo di Vetro: corruzione, inettitudine e interessi personali.

Malgrado gli scontri siano in netto aumento, causando un crescendo di morti, distruzioni e una nuova ondata di profughi (circa 500mila nel 2014) che s’aggiungono ai tantissimi che languono nei campi d’accoglienza, veri lager che danno a squallidi personaggi l’occasione d’arricchirsi, l’Onu sta studiando da dicembre una exit strategy che metta fine a una missione costosa quanto inutile.

Tuttavia, le vere cause del fallimento di Unamid (e della gran parte delle altre missioni Onu) risedono a New York e, più in specifico, negli intrighi e nelle lotte di potere del Palazzo di Vetro: da quando è rimasto scoperto il posto di Inviato Speciale in Sudan, Unamid è gestito direttamente da Integrated Operation Team (l’agenzia che coordina gli interventi di peacekeeping), guidata da Margaret Carey, una funzionaria che s’è distinta per superficialità, ignoranza dei problemi da affrontare e interessi personali, come più volte denunciato da diverse parti allo stesso Segretario Generale Ban Ki-moon.

È tutto il sistema di peacekeeping ad essere una colossale occasione per ruberie, affari sporchi e carrierismo, alle spalle delle popolazioni che “dovrebbero” essere protette.

Sia come sia, la sostanziale ritirata dell’Onu e la sospensione dell’indagine a suo carico, sono un enorme regalo per al-Bashir, rilegittimato e sbarazzato dall’ingombrante presenza dei caschi blu, che ha posto nuovamente la sua candidatura alle elezioni presidenziali di maggio, malgrado nel Darfur e nel Kordofan sia in atto una feroce repressione, con tanto di massacri, stupri di massa e un’autentica pulizia etnica.

I numerosi movimenti d’opposizione, riunitisi ad Addis Abeba, hanno sottoscritto un documento (“Appello del Sudan”) per individuare una personalità alternativa all’eterno presidente, ma è praticamente certo che, malgrado la loro strenua opposizione, in mancanza di serie alternative e grazie a tutte le leve del potere ben strette in mano, al-Bashir verrà riconfermato per l’ennesima volta.

Nel frattempo, grazie alla rinnovata agibilità politica (peraltro mai cessata nei fatti), s’è posto come mediatore nella grave vertenza per le acque del Nilo in corso fra Egitto ed Etiopia a seguito della costruzione di una colossale diga da parte di Addis Abeba, che ha già stravolto il flusso del fiume. Inoltre, per uscire dall’isolamento, ha cominciato a prendere parte alle vicende libiche, a fianco di Qatar e Turchia.

È l’eterno gioco del Potere, che vede sempre gli stessi soggetti lucrare sfacciatamente sui Popoli che tengono assoggettati, ridendo degli Organismi Internazionali, corrotti e privi di credibilità, e pronti a vendere se stessi e la propria Nazione all’Imperialismo più conveniente.       

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