Sud e la “trappola demografica”
Il rapporto Svimez lancia un grido d’allarme che dovrebbe turbare i sonni dei politici, ma che pare non avere nessuno effetto sulle loro coscienze. Sono migliaia i giovani che dal Sud sono costretti a fuggire per cercare una qualche forma di vita dignitosa. Nel rapporto, il Sud viene definito senza giri di parole “trappola demografica”. Dal 2000 il Sud ha visto la fuga di due milioni di persone e per i prossimi 50 anni le previsioni parlano di altri cinque milioni di giovani che lasceranno la loro regione d’origine. Ciò che aggiunge mestizia al già drammatico quadro è che la maggioranza di questi sono soprattutto laureati, quindi gente formata ma che non è in grado di mettere a frutto il proprio sapere. A goderne sono soprattutto Germania e Inghilterra che si ritrovano tra le mani menti brillanti già formate con un risparmio notevole.
Un declino irreversibile che acquista velocità con l’andare del tempo, un’emorragia di massa composta da giovani laureati e di gente con skill di tutto rispetto che non vuole rimanere intrappolata nel ginepraio delle regioni del Sud. La desertificazione del Sud si tradurrà in un arretramento del 40% del Pil, ma questa notizia invece di far venire gli incubi crea una sorta d’oasi per la politica italiana che nel Sud trova il suo bacino dove attingere durante le campagne elettorali. Un bacino di voti che si traducono in corte dei miracoli quando i Caf ed i vari comitati elettorali si riempiono di questuanti in cerca di un’occupazione.
Un Sud lasciato al suo destino
Poco si è fatto per il Sud e quello che si è pensato di fare non ha mai dato i risultati sperati. Ultimo in ordine di tempo il tanto decantato Reddito di cittadinanza (Rdc), una goccia nell’oceano della disperazione per la semplice equazione che se il lavoro non c’è e non lo creo non posso dartelo. Secondo il rapporto Svimez servirebbero tre milioni di posti di lavoro al Sud per colmare il gap con il centro-nord.
Per Giuseppe Provenzano, neo ministro per il Sud nel governo “Conte Due”, il rapporto è “la radiografia di una frattura profonda, trascurata in decenni di investimenti pubblici per il Mezzogiorno”, ma che non deve “indurre allo scoraggiamento”. A nulla servono queste frasi di circostanza visto che il Sud detiene il record della povertà assoluta. Nel 2017, le famiglie in stato di indigenza erano 845mila, scese a 822mila dopo l’avvio del Reddito di cittadinanza con un’incidenza che rimane comunque al doppio, 10% rispetto al 5,6% del Centro Nord. A preoccupare è l’impatto del Rdc che invece di richiamare gente al lavoro le sta allontanando.
Cosa servirebbe?
Varrebbe la pena puntare su settori nuovi di produzione, e in particolare sulla bioeconomia che attualmente al Mezzogiorno vale già tra i 50 e i 60 miliardi di euro, equivalenti a un peso tra il 15% e il 18% di quello nazionale. “Nel Mezzogiorno, si legge nel Rapporto, è significativa la crescita delle fonti energetiche rinnovabili. Tra i vari settori dell’economia circolare presenti al Sud, particolare rilievo assume la chimica verde. Le imprese del biotech sono cresciute moltissimo nelle aree meridionali, +61,1%, rispetto a +34,5% su scala nazionale”. In conclusione, la politica dovrebbe cessare di attuare una filosofia assistenzialistica visto che così facendo il Sud è destinato alla desertificazione.
di Sebastiano Lo Monaco