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Stupri e violenze, l’Isola d’Elba non commemora lo sbarco alleato

di Federico Cenci

C’è un’immagine sbiadita, in bianco e nero che alla popolazione più anziana dell’Isola d’Elba procura un sussulto. Atterrisce, spaventa, evoca l’inizio di un incubo che il tempo non può aver cancellato. Immortala una serie di navi militari attraccate alla costa, gremite di soldati. Alcuni di loro scendono in acqua e, disposti su lunghe file, si apprestano a raggiungere la terra ferma.

La data è quella del 16 giugno 1944, avvio dell’Operazione Brassard, nome in codice che gli alleati diedero all’occupazione dell’Isola d’Elba nell’ambito della più ampia campagna d’Italia. L’impresa fu affidata alle truppe francesi, comprendenti anche un nutrito contingente di soldati delle colonie: senegalesi e nordafricani.

La resistenza dei tedeschi durò sino al 20 giugno, fin quando anche gli ultimi superstiti abbandonarono l’isola lasciandola in mano degli alleati. Soldati che un anonimo abitante elbano ricorda così, avendoli visti all’opera durante un agguato a un drappello di tedeschi: «Presi quasi tutti alla sprovvista, ed impossibilitati a potersi difendere, e circondati, furono in buona parte fatti prigionieri o uccisi nella fuga se potevano o decapitati da feroci discendenti dei cannibali che neanche la sembianza avevano d’umano».

Qualcuno penserà che una così impietosa descrizione delle truppe senegalesi e nordafricane sia – oltre che figlia del trauma dell’autore per aver assistito a delle decapitazioni – una fotografia culturale dell’Italia di allora, che basava la sua conoscenza dell’esotico africano sul Simone romanzato da Emilio Salgari o sulle caricature della propaganda coloniale fascista. Eppure, leggendo uno stralcio di un verbale dei carabinieri dell’epoca, non si può non nutrire ancora oggi, in un tempo culturalmente più “evoluto” di quello, qualche esitazione prima di definire certi atteggiamenti degni del genere umano.

Si legge che gli occupanti si abbandonarono a «ogni sorta di eccessi, violentando, rapinando, derubando, depredando paesi e case coloniche». Insomma, ce n’è abbastanza in queste stringate parole per definire la data del 16 giugno 1944 l’inizio di un incubo per la popolazione locale.

La memoria di quell’incubo è indelebile allo scorrere del tempo, e in questi giorni lo si è constatato. La Union des Senegalais de l’Exterieur, che riunisce i senegalesi che vivono all’estero, aveva previsto per il 2 novembre una commemorazione di quello sbarco. Sembrava tutto pronto, quando il sindaco del comune di Campo nell’Elba, Vanno Segnini, ha deciso di annullare l’iniziativa rimandandola a data da destinarsi. Il perché lo spiega lui stesso in un comunicato: «Dobbiamo (…) prendere atto che la nostra Comunità non ha compreso lo spirito di pace e fratellanza con il quale questa Amministrazione Comunale aveva inteso accogliere la richiesta di incontro pervenuta dalla Comunità Senegalese».

Comunità senegalese che ha reagito con delusione all’annullamento: «Sappiamo che 5,6,7 senegalesi si macchiarono di violenze orribili – ha commentato Baye Diouf, un portavoce -. Ma volevamo andare in pace a ricostruire una memoria comune: perché noi siamo italiani e abbiamo contribuito a fare la storia dell’Italia. Il problema è che noi siamo neri, se arriva un tedesco all’Elba gli spalancano le porte. Invece a noi no». Le porte le tengono ben chiuse soprattutto il 2 novembre, quando si ricordano i defunti, compresi coloro i quali subirono le violenze “alleate”.

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