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Usa, la Fed rinvia nuovamente il rialzo dei tassi d’interesse

di Salvo Ardizzone

Spiazzando i mercati di tutto il mondo e contraddicendo le aspettative che essa stessa aveva alimentato, la Fed, la Banca Centrale americana, ha scelto di non decidere, rinviando ancora il rialzo dei tassi d’interesse, ormai da quasi otto anni prossimi allo zero. Il motivo di questo tira e molla, che tiene in sospeso le economie dell’intero pianeta e causa incertezze e squilibri, più che nel comunicato ufficiale diramato alla fine della riunione, è da interpretare dal non detto.

È vero che l’economia internazionale è in condizioni di estrema fragilità: la crisi dell’economia cinese originata dalle sue bolle speculative e dai suoi enormi squilibri non ha ancora mostrato il peggio; ad essa s’aggiunge l’aggravarsi della situazione dei Paesi emergenti, Brasile in testa, che stanno rapidamente avviandosi ad una recessione che avevano evitato. Questi fattori impatterebbero su un mondo che non ha affatto corretto le macroscopiche storture finanziarie che hanno causato il disastro del 2007-2009.

Il nodo è però un altro, e sta tutto nella struttura dell’economia Usa: il suo Pil cresce e, secondo le statistiche, la disoccupazione cala, ma sono dati drogati quanto bugiardi; li smaschera il calo costante dell’inflazione, ora prevista al minimo storico dello 0,4%. Questo significa che quel Pil non è figlio dei consumi della gente ma di colossali rendite finanziarie; che quell’occupazione è fatta da lavori sotto pagati; che le diseguaglianze crescono spaventosamente.

Adesso Yanet Yellen, il Presidente della Fed, è dinanzi a un bivio e non sa letteralmente che fare: un rialzo dei tassi, sia pur piccolo, darebbe il segnale che s’avvia alla fine il lungo periodo di denaro a costo zero che ha fatto la felicità di banche d’affari, istituzioni finanziarie ed hedge fund liberi di manovrare somme immense. Il dollaro s’apprezzerebbe e accelererebbe il ritorno dei fiumi di denaro investiti in Paesi emergenti, che già ora scricchiolano.

Una gioia per i pescicani di Wall Street, un incubo per l’industria Usa che, nell’aspettativa del rialzo, ha già visto salire il dollaro del 15% nell’ultimo anno rispetto all’Euro ed alle principali monete, e stenta sempre di più ad esportare. Ed è un incubo per quel che resta della classe media americana, sempre più falcidiata dalle riduzioni di posti di lavoro e dai tagli a salari e stipendi per abbattere i costi.

L’anno prossimo sarà un anno elettorale ed una nuova depressione è l’ultima cosa che desidera la Fed, così la Yellen continua a non decidere, rinviando a ottobre, a dicembre, o a quando sarà costretta ad agire, tenendo in sospeso le economie del globo.

È l’ennesimo frutto velenoso di un sistema finanziario marcio e privo di regole, che prospera lucrando somme colossali sulle spalle del mondo. È l’ennesima conseguenza dell’iperliberismo, che lascia incontrollato il dio “Mercato” libero di ingrassare divorando ogni cosa ed alla fine anche se stesso.

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