Stragi di Stato tra depistaggi e verità di comodo
Stragi di Stato – Nei mesi scorsi, sono stati desecretati gli atti interni della Commissione parlamentare Stragi. A delinearsi è la realtà di un’epoca oscura, in cui emerge finalmente la centralità di un personaggio come Paolo Emilio Taviani, finora volutamente schermato dalle cronache ufficiali.
Per delineare l’uomo, quasi sconosciuto alle nuove generazioni, basti dire che fu a lungo ministro degli Interni e della Difesa, oltre a ricoprire ininterrottamente ruoli di primissimo piano nei governi che si sono succeduti dagli anni Cinquanta e fino all’inizio dei Settanta, ma soprattutto, e su questo le cronache ufficiali glissano volutamente, fu capo di Gladio, l’organizzazione appartenente alla rete Stay-behind promossa dalla Cia prima per contrastare una possibile invasione sovietica e poi per opporsi a uno spostamento della vita politica italiana dalla ferrea adesione all’atlantismo. In poche parole, Taviani era l’uomo di fiducia degli americani, il soggetto che, con l’aiuto di cosiddetti “patrioti” e la piena collaborazione dei Servizi, aveva il compito di mantenere l’Italia nella sfera di egemonia Usa. A qualsiasi costo.
Per la cronaca, la prima domanda che le Brigate Rosse rivolsero ad Aldo Moro durante il suo sequestro fu su di lui, definito dai brigatisti “teppista di stato”. Le risposte furono pesantissime, peccato che questo carteggio, “stranamente” ritrovato nel covo freddo di via Montenevoso, sia successivamente ancor più “stranamente” andato perduto.
Veniamo alla stagione delle stragi di Stato
Ma veniamo al dunque: nel corso dell’audizione della Commissione Bicamerale sul terrorismo tenutasi il 1° luglio del 1997 sulla strage di Piazza Fontana, Taviani fece delle affermazioni quantomeno stupefacenti, solo in parte riviste e corrette in sede di verbalizzazione ufficiale. Sorvolando sull’orrendo linguaggio burocratico, il succo delle ammissioni di Taviani dice che: a) gli attentatori di Piazza Fontana non volevano fare vittime, perché la bomba fu fatta scoppiare nel pomeriggio quando ritenevano che la banca fosse chiusa; b) la regia era stata di un colonnello dei carabinieri, successivamente derubricato ad ufficiale del Sid, descritto come “persona seria e intelligente”; c) l’esplosivo era stato fornito da quest’ultimo.
Dalle ammissioni emerge la storia che l’attentato doveva essere un atto dimostrativo, come le tre contemporanee esplosioni avvenute a Roma. Un’azione che non prevedeva l’uccisione di cittadini italiani e che la fatalità aveva trasformato in strage. Quale ultima chicca, Taviani disse esplicitamente che non avrebbe detto altro e che solo alla sua morte avrebbe rivelato tutto. Peccato che nelle sue memorie-testamento si sia rimangiato tutto, affermando che ogni cosa era già a conoscenza di magistratura e mondo politico.
Ciò che stupisce, ancor più di dinamiche da “repubblica delle banane”, è che nessun pubblico ministero, nessuna forza politica abbia sentito il dovere di chiamare Taviani a render conto delle sue parole, confermando così che l’Italia è stata (ed è) un Paese a sovranità (assai) limitata, guidata ieri con le bombe ed oggi con l’aggressione della finanza internazionale su una via di acquiescenza all’egemonia Usa e alle logiche atlantiste.
La realtà è che la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta furono un periodo buio, su cui nessuno è interessato a indagare seriamente, preferendo la facile via di “verità storiche” preconfezionate che poco o nulla hanno a che fare con la verità dei fatti.
Fra segreti di stato e verità di comodo
“Fra segreti di stato e verità di comodo è stata costruita una narrazione bugiarda che ha giustificato e coperto crimini, distorto la realtà e legittimato una politica che è sempre stata prona ad interessi estranei a quelli dell’Italia. Dialettica politica, problemi sociali, sviluppo economico, venne tutto posto in secondo piano e, quando le tensioni di un Paese ingessato minacciarono di esplodere, andarono in scena i drammi della stagione delle stragi di Stato e degli “anni di piombo”. È stato sul terrorismo di quegli anni che l’Italia è rimasta sostanzialmente immobile, è stato su quelle tante vite spezzate che un sistema si è mantenuto al potere, immutato e immutabile, oscurando ogni problema in nome della minaccia terroristica”.
È quanto è dimostrato con rigore, dovizia di documenti e testimonianze dal libro di Sandro Forte, “Ordine Nuovo parla”, edito da Mursia; frutto di un impegno durato anni, attraverso una disamina di fonti, scritti, documenti, testimonianze dirette, fa emergere il ritratto di un’Italia cupa, assoggettata a interessi e logiche egemoni nel cosiddetto Occidente a trazione americana. Nel volume si documenta come, affinché una tale strategia riuscisse, occorreva un capro espiatorio cui accollare tutte le nefandezze. Esso fu identificato in Ordine Nuovo (On), la maggiore formazione della destra extraparlamentare di quegli anni; serviva frantumare quell’intero mondo, di cui On era la realtà più strutturata e politicamente avanzata, per creare le schegge impazzite da usare per i propri fini.
Il sangue determinò la sincope del movimento di protesta
I fatti dimostrarono ampiamente che il tanto sangue determinò la sincope del movimento di protesta di quegli anni, fece cadere le pietre dalle mani di chi era pronto a lanciarle contro i nemici veri, sviò l’attenzione dai problemi reali indirizzando rabbia e riprovazione verso quei “mostri” che quella stessa strategia aveva creato.
Adesso dalle nebbie del passato e dal voluto oblio i fatti stanno emergendo e il libro di Forte ce li mette dinanzi. A ben vedere, parafrasando il motto di Falcone (che per colpire la mafia esortava a “seguire i soldi”), per spiegare le bombe di quegli anni torbidi sarebbe bastato “seguire l’esplosivo”. Il materiale (tanto) usato o rinvenuto nelle varie stragi di Stato (Piazza Fontana, Pian del Rascino) e negli attentati del sedicente “Ordine Nero”, oltre che altrove, era lo stesso era lo stesso e proveniva tutto da depositi della Nato.
Ma non serviva la verità “vera” e, per concludere, quello che venne messo in atto fu un meccanismo che investì tutti, anche l’autentica sinistra, accomunando le diverse linee di critica radicale al sistema, al di là della vulgata comune assai spesso coincidenti sui temi, in una repressione che ne ha stroncato la potenziale carica rivoluzionaria. Lo Zio Sam ringrazia.
di Salvo Ardizzone