Ustica, una strage tra omissis e servilismo
Era la sera del 27 giugno 1980; erano tempi non certo facili per un Paese che stava percorrendo i mesi più terribili degli anni di piombo e della stagione della strategia della tensione. Da lì a breve, l’Italia avrebbe pianto gli 80 morti della stazione di Bologna e tanti altri uomini caduti in un clima di guerra civile latente. Quella sera, all’aeroporto di Punta Raisi di Palermo, molti familiari aspettano l’arrivo del volo Itavia che proprio dal capoluogo emiliano doveva portare 77 passeggeri nello scalo siciliano. Ma succede qualcosa, quel volo non atterrerà mai, sui cieli di Ustica un bagliore illumina la serata ed è l’inizio di uno dei misteri più fitti del dopoguerra italiano.
Il giorno dopo, tra Ponza ed Ustica, ad una manciata di chilometri dalla cosa siciliana, riaffiorano ad uno ad uno i corpi ed i resti di quell’aereo che per circa trent’anni custodirà gelosamente tutti i segreti di quella serata. A differenza dei rottami, la verità invece non emergerà subito dalle acque gelide del Mediterraneo. Sono passati 42 anni e soltanto adesso si inizia infatti a far luce sul caso, caduto nel frattempo nelle odiose grinfie del “segreto di Stato”.
Sopra i cieli di Ustica l’Itavia Bologna–Palermo è stato centrato da un missile
La sentenza della Cassazione parla chiaro: sopra i cieli di Ustica in quel 27 giugno non è esploso nessun aereo, bensì l’Itavia Bologna–Palermo è stato centrato in pieno da un missile. È la prima ammissione ufficiale di una versione da più parti sempre presa in considerazione, ma mai vagliata dalle autorità. Solo nel 2007, l’ex presidente della Repubblica, e primo ministro all’epoca della strage, Francesco Cossiga, dichiarava, forse più per uno scatto dovuto alla senilità che ad uno scatto dovuto all’amor della verità, che erano stati i francesi con un missile ad abbattere per errore il volo civile dell’Itavia. Centrato per errore, visto che il vero obiettivo era l’aereo militare “nascosto” dietro il Bologna–Palermo, che trasportava il leader libico Muhammar Gheddafi.
Una sentenza ha riconosciuto che è stato un missile a causare il disastro, condannando lo Stato a risarcire i familiari. Ma c’è un passo della sentenza che più di tutti attira l’attenzione e fa ricollegare la strage di Ustica ai tempi attuali. Si parla infatti di “scenario di guerra”, in cui si sarebbe imbattuto lo sfortunato volo dell’Itavia, fatale ai 77 passeggeri e ai 4 uomini di equipaggio.
Il cielo siciliano è stato un vero e proprio campo di battaglia, usato da eserciti stranieri a danno di innocenti cittadini italiani. Un crimine che getta una profonda ombra sulla capacità del nostro Paese di garantire i propri confini e soprattutto l’incolumità dei suoi cittadini. Ciò dimostra ancora una volta come, nel periodo della guerra fredda, che la Sicilia per la sua posizione strategica e di confine con l’altra sponda del Mediterraneo, ha pagato i prezzi maggiori di una strategia che l’ha voluta involontaria e sfortunata protagonista di passaggi politici non sempre direttamente connessi alla propria evoluzione storica.
Trascorsi 42 anni…
Fa molta impressione notare come oggi, dopo 42 anni ed a guerra fredda finita, la Sicilia viene ancora utilizzata per tali scopi, privandola della propria sovranità. A Niscemi hanno costruito il Muos, uno strumento militare statunitense che, tra le altre cose, serve per “guidare” a distanza i droni, ossia gli aerei senza pilota parcheggiati a Sigonella.
Allo Stato italiano, la lezione di Ustica non è servita, così come non è servito sacrificare 81 vite innocenti per capire come, a prescindere da ogni logica politica, la salute e l’incolumità dei propri cittadini deve essere messa al primo posto, assieme al rispetto della sovranità. Principi questi, calpestati del tutto nel dare le autorizzazioni a costruire il Muos a Niscemi, spegnendo qualsivoglia tentativo di consegnare alle prossime generazioni una terra finalmente libera.
di Redazione