Strage di Bologna, intervista all’avvocato Valerio Cutonilli
Da molti anni l’avvocato Valerio Cutonilli, autore del libro Strage all’italiana, è dedito alla ricerca della verità sull’attentato sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980. Nell’imminenza della trentatreesima ricorrenza dell’eccidio, ha voluto concederci questa lunga e interessante intervista.
Ogni anno, nei giorni che precedono il tragico anniversario della strage di Bologna, riemerge puntualmente l’acceso contrasto tra i fautori della verità giudiziaria e quanti reclamano una verità storica di segno completamente differente. A suo avviso sarà possibile, almeno in futuro, sanare questa contraddizione?
Ritengo di no, credo anzi che il contrasto assumerà con il tempo proporzioni sempre maggiori. Le sentenze di condanna di Fioravanti, Mambro e Ciavardini, indicati come i responsabili dell’attentato, sono passate in giudicato da anni. Ma l’opinione pubblica, in larghissima parte, ritiene gli ex militanti dei Nar estranei all’eccidio. Nell’ultimo decennio poi diversi ricercatori hanno ipotizzato un complesso scenario internazionale, nel quale si sarebbe consumata la strage, del tutto incompatibile con la ricostruzione giudiziaria. E su questo scenario internazionale sta ora indagando la Procura della Repubblica di Bologna.
A suo avviso quale sarà l’esito delle nuove indagini?
Ho l’impressione che non vi saranno rinvii a giudizio. Ciò nonostante, la nuova pista investigativa verrà ritenuta non infondata bensì insufficientemente verificata. Mancheranno, in altri termini, gli elementi necessari per sostenere l’accusa in giudizio nei confronti degli ex appartenenti all’Ori (l’organizzazione guidata all’epoca da Carlos lo Sciacallo) attualmente indagati. Permarranno quindi anche in ambito giudiziario i sospetti che hanno dato impulso alla nuova ricerca storica. Questa è solo la mia previsione personale, ovviamente. Resto convinto, infatti, che il paese non è ancora pronto per confrontarsi lealmente con i grandi misteri degli anni di piombo.
Cosa intende dire?
Dopo anni di studio, ho maturato la convinzione che le stragi avvenute in Italia in quel periodo, a prescindere dall’effettiva dinamica di alcune di esse (inclusa quella di Bologna), costituissero in realtà dei messaggi monitori rivolti alle nostre autorità. Degli avvertimenti o delle sanzioni incomprensibili per l’opinione pubblica ma subito recepiti come tali dai massimi vertici delle istituzioni. Per comprendere a posteriori il significato di tali messaggi occorre avere ben chiari due diversi aspetti della politica italiana.
Quali?
Il primo riguarda l’effettiva collocazione del nostro paese nel delicato contesto della guerra fredda. All’indomani della seconda guerra mondiale l’Urss avrebbe desiderato che l’intero nord-est italiano venisse assegnato al blocco orientale. Ciò non avvenne per l’opposizione degli Usa ma i sovietici, in cambio, ottennero il riconoscimento di un loro “contropotere” nell’Italia rimasta formalmente a ovest. Un “contropotere” rappresentato inizialmente dal Pci (unico partito comunista occidentale superiore per consensi e importanza alle altre forze politiche di sinistra, più o meno socialdemocratiche) e dalle regioni “rosse” centro-settentrionali. Quest’aspetto della politica italiana, fondamentale per riallacciare tutti i fili della storia repubblicana, resta tuttora quasi sempre taciuto. A chi volesse approfondire la questione consiglio la lettura davvero illuminante di La lunga ombra di Yalta dell’ex Ministro De Michelis.
E l’altro aspetto quale sarebbe?
L’altro aspetto riguarda la politica italiana nello scacchiere mediterraneo, a partire soprattutto dal periodo successivo alla crisi di Suez. Qui rilevano massimamente gli obiettivi nazionali in tema di approvvigionamento energetico. E proprio nei rapporti con i paesi del nord Africa, piuttosto che con quelli dell’area mediorientale, emerge in modo evidente e (purtroppo) spesso drammatico la doppia anima della nostra politica estera. L’una maggiormente ossequiosa delle alleanze militari, e dunque più favorevole alle ragioni israeliane, l’altra invece decisamente autonomista, ben disposta verso il mondo arabo e sensibile alla causa palestinese. L’ambiguità intrinseca a tale doppiezza ha prodotto spesso situazioni politiche pericolosamente contraddittorie. Credo proprio che tra le pieghe di tali contraddizioni si celi la chiave per risolvere molti dei grandi misteri italiani degli anni di piombo.
Ma tra le pieghe delle contraddizioni da lei spiegate non si troverebbe granché dell’estrema destra, generalmente indicata come l’area ideologica responsabile delle stragi…
Lo credo anche io. Anche qui però s’impone una precisazione. Sono convinto che le autorità italiane dell’epoca, ritenendo inconfessabili le ragioni degli attentati (ragioni che come detto implicavano anche per esse gravi responsabilità, seppur non dirette) preferirono offrire all’opinione pubblica dei capri espiatori. Le vittime sacrificali furono scelte, come scontato, nell’unica area ideologica avversata da tutte le forze politiche riunite nel cosiddetto arco costituzionale. I neofascisti erano in questo senso i colpevoli ideali e politicamente più convenienti per tutti. Questo spiega anche le numerose attività d’inquinamento delle indagini poste in essere dagli apparati di sicurezza. Apparati per nulla “deviati”, come pure si è voluto far credere per ragioni di opportunità, ma che intossicarono le inchieste sulle stragi obbedendo evidentemente a precise direttive politiche. La ragion di stato impediva di rendere partecipe l’opinione pubblica di contenziosi internazionali di elevata intensità. Ma nel corso degli anni, cessata la fase di maggiore tensione, l’atteggiamento degli esponenti democristiani finì con il discostarsi da quello dei loro colleghi del Pci.
Intende dire che i comunisti si sono dimostrati più coerenti?
In un certo senso sì ma non credo sia un titolo di merito. Sul versante Dc spicca l’esempio emblematico di Cossiga. Lo statista sardo, presidente del consiglio nei giorni della strage di Bologna, assegnò immediatamente le responsabilità ai gruppi neofascisti. Superata però la crisi del 1980, e crollato il muro di Berlino, Cossiga non attese un attimo per chiedere scusa all’estrema destra, divenendo poi uno dei sostenitori più accaniti dell’innocenza dei Nar. I comunisti, al contrario, hanno tenuto la stessa posizione lungo i decenni. Non a caso i loro eredi, nei prossimi giorni, torneranno per l’ennesima volta a utilizzare la nefasta ricorrenza bolognese per proclamare la loro pretesa superiorità morale sulla destra stragista e assassina. Ma va anche detto, con obiettività, che la parte più evoluta della sinistra non crede affatto che la verità sulle stragi possa ridursi a un abito cucito su misura.
E la destra?
Paradossalmente la destra parte da un vantaggio enorme. Per anni è stata utilizzata come la discarica giudiziaria degli anni di piombo. Appare finanche ovvio, quindi, che proprio da essa provenga ora la spinta maggiore alla ricerca della verità. Una verità che, nella peggiore delle ipotesi, si rivelerebbe estremamente più favorevole delle ricostruzioni giudiziarie sofferte sinora. Il rischio che la destra corre, a mio avviso, è però quello d’incappare negli stessi errori storici della sinistra. Prendo ad esempio la nuova indagine sulla strage di Bologna dove si sta verificando l’eventuale responsabilità di una fazione filosovietica della resistenza palestinese. A destra, nella maggior parte dei casi, si appoggia o si critica tale pista investigativa a priori, a seconda cioè dei propri orientamenti di politica estera. I filoisraeliani sono generalmente a favore, i filoarabi contrari. Si dovrebbe ragionare invece sui fatti e non ritenere la strage di Bologna lo spartiacque tra il bene e il male in medioriente. In base agli elementi acquisiti sinora, ritengo ben possibile che anche il Fplp palestinese sia effettivamente coinvolto nell’esplosione alla stazione di Bologna. Ciò non ha nulla a che vedere, tuttavia, con le mie opinioni in ordine al diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese.
di Redazione