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Chi comanda in Libia? Panorama sulla galassia delle milizie attive nel Paese

di Salvo Ardizzone

A tre anni dalla caduta di Gheddafi, la Libia è nel caos più totale; uno Stato fallito senza legge, dove spadroneggiano milizie e semplici predoni, in un intreccio da tutti contro tutti. Al tempo della guerra civile, gruppi armati sorsero dappertutto, alle volte per combattere contro i lealisti, altre per difendere il proprio villaggio o la propria tribù, altre ancora semplicemente per taglieggiare, rubare e saccheggiare, approfittando della confusione e dalla mancanza d’ogni controllo. Le armi non erano un problema; stipato nelle caserme abbandonate c’era tutto lo sterminato arsenale che Gheddafi aveva raccolto per decenni: armi leggere come armi pesanti e munizioni d’ogni tipo; bastava prenderle e avere qualcuno che le sapesse usare ad istruire.

Finita la guerra, malgrado i proclami d’un Governo privo d’ogni forza e autorità, nessuno si sognò di riconsegnarle, anzi. Quegli arsenali, da un canto finirono nei circuiti dei traffici d’armi, armando terroristi e predoni di tutta l’Africa e non solo; dall’altro consolidarono il potere di chi, avuto un fucile in pugno, non si sognava neppure di lasciarlo.

Oggi, si calcola che nel Paese operino oltre 200 milizie, alcune in qualche modo integrate nella parodia d’apparato statale (in realtà controllando qualche pezzo di territorio, nominalmente per conto del Governo, nei fatti per il proprio esclusivo tornaconto), altre dichiaratamente al di fuori; le realtà più importanti sono sette: Zintan, Misurata, Lybian Shield, Brigata Martiri del 17 Febbraio, Milizia del Generale Heftar, la Cirenaica Self Defence Force e la galassia jihadista con almeno tre gruppi a collaborare.

Il Consiglio Militare di Zintan, la città sulle alture a sud ovest di Tripoli, è una milizia che conta dai 4 ai 5mila uomini ben armati (anche con carri e altre armi pesanti); al tempo della guerra civile ha combattuto pesantemente e dopo ha mantenuto diverse posizioni strategiche che aveva conquistato, tra cui l’aeroporto della capitale; da circa un mese combatte per mantenerne il controllo, anche se lo scalo è ormai ridotto a un ammasso di macerie. A maggio ha stretto un’alleanza col Generale Heftar. 

La milizia di Misurata ha il controllo totale della città da cui prende il nome; si è formata nel lungo e sanguinoso assedio che sostenne durante la guerra, ora conta alcune migliaia di armati e s’è alleata ad altre milizie di tendenza islamica, principalmente quelle del Lybian Shield, con cui tenta di sottrarre lo scalo di Tripoli a Zintan. Ad oggi, ha il controllo dell’unico aeroporto degno di questo nome che rimane in Libia. 

Il Lybian Shield è in realtà un’organizzazione ombrello che raggruppa numerose milizie collegate all’universo islamico e salafita; molte di esse sono articolate su base territoriale e operano per il controllo delle aree di appartenenza di concerto col Ministero della Difesa libico da cui ricevono numerosi finanziamenti. È considerata vicina alla Fratellanza Musulmana e ad altre realtà islamiche radicali.

La Brigata dei Martiri del 17 Febbraio opera in Cirenaica e conta alcune migliaia di uomini; anche se non ha brillato particolarmente per capacità durante la guerra, ora possiede un poderoso arsenale proveniente dalle numerose caserme che controlla e presso cui ha le proprie basi. Anch’essa appartiene all’indefinita area islamista, con contatti con la Fratellanza.

La milizia del generale Heftar ha anch’essa basi in Cirenaica; è una coalizione di forze più o meno nazionaliste che mette insieme elementi del vecchio esercito uniti a segmenti delle antiche istituzioni, con alcune tribù della Montagna Verde e della Cirenaica. Conta almeno 6mila uomini, con armamento pesante e qualche velivolo proveniente da due basi aeree che controlla. Il Generale, un vecchio sodale di Gheddafi poi entrato con lui in collisione, dopo un lungo esilio negli Usa, pare ospite della Cia, è rientrato in Libia al tempo della guerra civile con l’intenzione di prendere il comando della rivolta. La cosa non gli riuscì e ritornò nell’ombra per uscirne nello scorso maggio, quando tentò di ribellarsi al fantasma del Governo centrale, controllato da milizie d’ispirazione islamica e vicine alla Fratellanza Musulmana. 

Col suo atto di forza intendeva espellere le milizie islamiche e i gruppi jihadisti da Bengasi, alleandosi con la milizia di Zintan, perché facesse lo stesso a Tripoli. Il tentativo riuscì solo in parte; in questi giorni è uscito sconfitto (e probabilmente in fuga in Egitto) dal contrattacco dei rivali, che hanno ripreso il controllo di Bengasi, occupando diverse caserme prima base delle sue truppe (come l’antico comando delle Forze Speciali, dove s’è consumato un autentico massacro con diverse decine di morti). Probabilmente l’inefficacia della sua azione ha convinto chi lo ha incoraggiato all’inizio a uscire allo scoperto per combattere le milizie islamiste e vicine alla Fratellanza (Arabia Saudita con dietro gli Usa e alcuni altri stati occidentali) a rallentare gli aiuti che gli erano indispensabili. 

C’è poi la Cirenaica Self Defence Force di Ibrahim Jadhran che per ora sta alla finestra, badando a presidiare il vasto territorio che controlla, le installazioni petrolifere e i terminali sulla Sirte. È una forza che può contare su circa 20mila armati, al servizio d’una idea federalista che mira a fare della Cirenaica una regione ampiamente autonoma, sostenuta dai proventi del petrolio. È l’unica forza che abbia un’agenda propria, ma per adesso s’è tenuta fuori dai due schieramenti che si stanno dando battaglia: le milizie islamiste o che si ispirano alla Fratellanza e quelle che hanno dietro Arabia Saudita e Usa. 

Da ultimo ci sono i gruppi jihadisti: Al Qaeda nel Magreb Islamico (Aqmi), la più importante, attiva in tutto il Nord Africa e il Sahel; El Muwaqiin Bi Dam, di quel Belmokhtar che più che altro s’è staccato da Aqmi per costituire una banda con interessi essenzialmente economici e fare il trafficante ed il predone; Ansar Al Sharia, erede di antichi movimenti che già s’opponevano a Gheddafi. È difficile dire quanti miliziani possano schierare in Libia i tre gruppi, si calcola almeno 3mila; hanno un’agenda ben diversa dalle altre milizie, e si alleano con gli islamisti (come è accaduto nella battaglia per Bengasi) per fini contingenti e convenienza. 

Laggiù s’è giunti ormai allo scontro aperto: Heftar e Zintan a maggio avevano attaccato il Governo e le milizie islamiste che lo sorreggevano; dopo le elezioni farsa, queste ultime hanno contrattaccato e già Heftar pare fuori gioco. Ibrahim Jadran attende ancora, ma con la proclamazione del cosiddetto “califfato” in Cirenaica, non mancherà molto perché debba scendere in campo per difendere l’autonomia dei suoi territori. S’è ancora agli inizi d’una mattanza che appare lunga e senza alcuno sbocco.

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