Stop ai colloqui di pace per rinuncia dei negoziatori palestinesi
Il capo dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas ha annunciato in questi giorni che i negoziatori palestinesi hanno abbandonato i colloqui con gli israeliani, mediati dagli Stati Uniti, per protesta contro l’annuncio della costruzione di più di 20 mila insediamenti illegali nei Territori Occupati ad opera del governo di Tel Aviv. I colloqui erano iniziati nel mese di luglio a Washington, capitale federale degli Usa, da dove si sono trasferiti alternativamente in Cisgiordania e in Israele. Fin dalle prime battute si era compreso che essi erano viziati dalla poca disponibilità da parte israeliana, come era già avvenuto nel 2010 quando i colloqui subirono una sospensione in seguito al rifiuto di Tel Aviv di congelare le sue attività di insediamento nella West Bank.
Già all’inizio di settembre, Yasser Abd Rabbo, braccio destro del capo dell’Autorità Palestinese, aveva dichiarato che i colloqui si stavano rivelando inutili e che non avrebbero portato ai risultati sperati, secondo quanto riferisce Al Manar. Mentre il premier israeliano Benjamin Netanyahu continuava a difendere le attività di insediamento illegale nei Territori Occupati, arrivando a sostenere che: “I palestinesi devono abbandonare il loro rifiuto di riconoscere il diritto del popolo ebraico al loro Stato nazionale” come ha dichiarato in un discorso alla Bar Ilan University, i primi di ottobre. Ponendo quest’ultima come condicio sine qua non per raggiungere un accordo al termine dei negoziati.
Mercoledi scorso, Abbas ha dichiarato che i suoi negoziatori si sono dimessi per la mancanza di progressi nei colloqui, anche se ha ribadito che le trattative continueranno, nonostante la ferma presa di posizione dei negoziatori palestinesi. Da parte sua, Netanyahu ha, in questi ultimi giorni, annunciato la sospensione temporanea dei progetti di costruzione nei Territori Occupati; ma questo non per una sua improvvisa disponibilità alle trattative di pace, ma perché impegnato a impedire la conclusione di un accordo sul nucleare tra l’Iran e i Paesi membri del gruppo 5+1, Usa, Russia, Cina, Francia, Regno Unito e Germania, secondo quanto riporta Prensa Latina.
Un alto funzionario dell’Autorità Palestinese ha riferito la settimana scorsa che non ci saranno colloqui diretti con Israele, se continua a espandere gli insediamenti. Intanto, nel mese di ottobre, un gran numero di palestinesi, appartenenti a tutti i movimenti politici, è sceso nelle strade della città di Ramallah, protestando e chiedendo all’Autorità Palestinese di abbandonare le trattative. I manifestanti hanno anche chiesto che il regime di Tel Aviv sia giudicato e condannato dal tribunale penale internazionale per i suoi crimini perpetrati contro il popolo palestinese. Il riavvio delle rattative è stato gestito dal Segretario di Stato Usa John Kerry.
Più di mezzo milione di israeliani vivono in più di 120 insediamenti illegali, costruiti a partire dall’occupazione israeliana dei Territori Palestinesi della Cisgiordania e di Gerusalemme Est nel 1967. Le Nazioni Unite e la maggior parte dei Paesi considerano gli insediamenti israeliani come illegali perché i territori sono stati sottratti da Israele nella guerra del 1967 e sono quindi soggetti alle Convenzioni di Ginevra, che vietano la costruzione su terre occupate. Su queste basi, il processo di pace in Medio Oriente appare un traguardo ancora lontano.