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Ucraina: le conseguenze del “golpe” – Parte III

Ucraina – Abbaiamo già parlato delle cause e delle dinamiche che hanno determinato il “golpe” di Kiev, qui cercheremo di metterne a fuoco le conseguenze ed evidenziare ciò che quella crisi ha dimostrato, al di là del fumo della propaganda e delle parole di circostanza di diplomazia e media.

I soggetti sono sempre quelli: Europa ed Europei, che ne escono peggio di tutti; Russia, che ha visto ridimensionate le ambizioni di grandezza imperiale; Stati Uniti, che con uno sforzo minimo, e un colpo solo, hanno bloccato le velleità europee di giocare in proprio da un canto, e stoppato i programmi di Mosca dall’altro; Ucraina, sulla cui pelle è stata giocata (e si giocherà ancora) una partita assai più grande, che poco o nulla riguarda i sogni e le aspirazioni della sua gente.

L’Europa, in quanto Ue, al dunque s’è dimostrata per quello che è: un ectoplasma inesistente, un pulviscolo d’interessi discordanti privi di collante, il nulla. Né sarebbe potuto essere diverso perché dietro semplicemente non esiste una visione politica condivisa, né tantomeno una base d’interessi comuni. È stata costruita con una serie di fughe in avanti (vedi Euro), con una gretta visione mercantile e burocratica di gestione; i risultati non potevano essere che questi. Basterebbe la lampante constatazione che singoli stati, come la Germania, hanno avuto e hanno un peso immensamente superiore dell’insieme, per constatare il colossale fallimento della Ue. L’Europa è stata vista come un paravento dietro cui singoli stati o riuniti in club potessero muoversi per i propri scopi particolari, punto.

Dalla prova ucraina escono drasticamente ridimensionate le aspirazioni degli ex stati dell’orbita dell’Urss di espandere ad Est la propria influenza, creando a spese della Russia l’antica area di Intermarium, destinata a rimanere un sogno velleitario e fuori della storia.

La Germania aveva deciso di proiettare a Est la propria forza economica indiscussa, tramutandola in egemonia politica sull’area; da quella nuova posizione, avrebbe ridiscusso la storica patnership con Mosca su un piano paritario, aspirando in prospettiva anche a qualcosa di più. L’epilogo della crisi ha demolito il progetto, costringendola a mettersi in riga e incrinando l’antico legame con il Kremlino. Ma attenzione, la dinamica delle cose sta nei fatti che non sono cambiati: a meno di sviluppi catastrofici, che nella realtà nessuno degli attori vuole, le aspirazioni di Berlino sono solo rinviate. Il peso tedesco non è variato e il vuoto che c’è ad Est non può essere colmato dagli oligarchi russi né da altri: è appunto nelle cose, passata una crisi che nessuno vuole esiziale, che Germania e Russia trovino il modo d’accordarsi; non sarà facile dopo i fatti di Jevromajdan e gli scontri che infiammano l’est ucraino, e ci vorrà altro tempo, ma conviene, tanto, a entrambi.

Allo stato, e salvo accadimenti imprevisti che sfuggano del tutto di mano agli attori, la Russia ha solo portato a casa la Crimea, poco più d’un premio di consolazione: s’è vista scippare il controllo sull’Ucraina (e con essa una credibile Unione Euroasiatica, su cui tanto aveva puntato), messo in crisi il prezioso rapporto con Berlino e, oltre al gelo totale con gli Usa e un sostanziale isolamento diplomatico, sta pagando e pagherà un altissimo prezzo economico: fuga di capitali, rublo a picco, incertezza sui futuri programmi di forniture di gas al mercato europeo (sorte dello strategico gasdotto South Stream in testa). Inoltre, come traspare da una battuta del Primo Ministro Medvedev (“tutto questo adesso sarà il nostro mal di testa”), la Crimea costerà al Kremlino almeno 20 mld di $ in tre anni.

Per come stanno le cose è un saldo in netta perdita. Putin cercherà ovviamente di rifarsi  rendendo la pariglia agli Usa nella crisi siriana e sul nucleare iraniano, tuttavia, quei dossier, pur terribilmente complessi, sono incanalati verso soluzioni: quello siriano sul campo (malgrado le montagne di armi e i fiumi di denaro forniti da Arabia Saudita, Qatar&C., i “ribelli” continuano a perdere terreno), su quello iraniano è interesse dei principali attori (Usa e Iran) trovare un accordo. Mosca potrà certo ostacolare e ritardare quei processi, magari far pagare a Washington un prezzo più alto (e farà di certo entrambe le cose), ma difficilmente farli fallire.

Gli Stati Uniti, finito il mondo bipolare, e districatisi faticosamente dall’Iraq prima e ora dall’Afghanistan dove l’aveva ficcati la follia di Bush, intendono perseguire la politica di impedire, su ogni scacchiere regionale, l’emergere di una potenza che egemonizzi l’area, o comunque possa ostacolare i loro interessi. Come abbiamo detto molte volte, l’Amministrazione Obama riconosce che il fulcro strategico ed economico mondiale si sia spostato a Oriente, proprio dove si sta affermando la potenza cinese, e là ha focalizzato la propria attenzione. Inoltre, continuando a ritenere strategico il Medio Oriente e l’area del Golfo in particolare, annette la massima importanza a normalizzare i rapporti con l’Iran, malgrado ciò sia contrario agli interessi dell’ambiguo alleato saudita e dell’intrattabile stato d’Israele. Mantenere un accettabile status quo con Ryhad e con Tel Aviv, a costi che non siano esorbitanti, e trovare (quanto meno provarci) un qualche accomodamento in Palestina sono i suoi altri dossier.

La crisi ucraina ha investito uno scacchiere ritenuto ormai secondario, ma Obama non voleva che ne emergesse una Germania con caratura di potenza autonoma, capace di giocare in proprio su tutto l’Est Europa, e una Russia rafforzata. Con un colpo solo ha ottenuto lo scopo di ridimensionarle, inoltre, con quella crisi, oltre a ostacolare il gas di Putin, ha aperto prospettive assai interessanti per il proprio, a prezzi di molto superiori di quelli del mercato interno Usa. Come detto subirà ritorsioni, ma ha bloccato le ambizioni imperiali di Mosca e ne ha messo in grave difficoltà l’economia.

 L’Ucraina è quella che ha pagato e pagherà assai più di tutti; dell’arretratezza e delle pessime condizioni economiche abbiamo già detto, e non basteranno certo i 17 mld di $ stanziati dal Fmi (a quali condizioni poi!) e i pochi altri promessi da Ue e Usa. Piaccia o no, non può reggersi senza l’appoggio di Mosca, senza il suo gas, senza i suoi mercati. La via più logica era contenuta nei famosi accordi del 21 febbraio, quelli che furono fatti saltare.

Sia come sia, i termini di una possibile intesa sono già chiari a chi, dietro le quinte, sta già negoziando: un’Ucraina libera ma neutrale, scordando i sogni di adesione alla Nato; ancorata all’Europa, ma non all’interno della Ue, né in contrapposizione con l’area russa o eurasiatica (perché Bruxelles non può essere un’alternativa a Mosca), anzi, facendosi cerniera fra i due mercati; aiuti economici idonei ad evitare un default, ma anche rinegoziazione delle forniture con Gazprom per definirne i costi, oltre che per evitare che l’Europa possa essere presa in ostaggio (come in passato) dai contenziosi russo–ucraini; riforma federalista dello stato, che conceda autonomie all’Est (ma non tanto grandi da indurre in ulteriori tentazioni); disarmo delle milizie armate, ma tutte, sia a Kiev che filo russe, con la speranza che alle prossime elezioni gli estremisti (che tanti danni hanno già fatto facendosi strumenti di terzi) ne escano ridimensionati.

Purtroppo le violenze che continuano a divampare non fanno che complicare le cose, scavando fossati che sarà sempre più difficile colmare. E d’altro canto gli Ucraini stanno già comprendendo che non c’è nessuno che li aspetta a braccia aperte per salvarli (tanto meno la Ue); come pure hanno constatato che gli oligarchi ci sono ancora, tutti: hanno semplicemente cambiato casacca. Solo con molto tempo (e molto buon senso) sarà possibile rimediare a questo disastro, che costerà immensi sacrifici a quella nazione disgraziata.

Come ultima notazione vogliamo dire che la crisi ucraina non segna l’inizio di una nuova Guerra Fredda, e sbaglia di grosso chi lo pensa; troppe cose sono cambiate: per gli Usa s’è trattato di evitare che in Eurasia si sviluppasse troppo una potenza rivale, avrebbero agito alla stessa maniera chiunque fosse stata. Inoltre, come ripetuto più e più volte, oggi sono molte le potenze che sono emerse nei vari scacchieri, e per molte di esse, come il Brasile o il Sud Africa, gli avvenimenti d’Europa sono ininfluenti. La stessa Cina, lei si in procinto di divenire potenza di stazza mondiale, s’è guardata bene dallo schierarsi, da un canto perché considera la Russia al massimo uno junior patner (con buona pace delle aspirazioni di Putin), da attivare nelle partite con Washington; dall’altro, alle sue orecchie, parlare di secessione o autodeterminazione equivale a una bestemmia, impegnata com’è con i problemi di Taiwan, del Tibet e del Xinjiang.

di Redazione

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