Situazione esplosiva in Nicaragua
Nicaragua – Il presidente Ortega ordina la repressione delle proteste contro la modifica del sistema pensionistico che sono dilagate per quattro giorni provocando decine di morti. Gli episodi di sangue confermano come tra i popoli del centro e sud America non si instaurino governi capaci di portare avanti delle riforme condivise e siano viste come di progresso e pacificazione sociale.
E’ stata soffocata con la violenza l’ondata di proteste scoppiata in Nicaragua in seguito alla proposta di riforma del sistema previdenziale nazionale avviata dal Fronte sandinista di liberazione nazionale, che prevede una tassa del 5% sui contributi dei datori di lavoro e dei dipendenti, riducendo della stessa percentuale l’importo complessivo delle pensioni. Pensionati, studenti ed imprenditori sono scesi in piazza contro la riforma, definita “ingiusta e inumana”, che il governo ritiene invece necessaria per rendere sostenibile il sistema pensionistico.
I sostenitori dei diritti umani sostengono che al termine degli scontri forze governative e polizia hanno caricato i manifestanti con i manganelli e sarebbero almeno 25 le persone morte e almeno 7 sono quelle rimaste ferite negli scontri di sabato scorso. Tra loro risultano feriti anche alcuni giornalisti critici col governo: Julio López del programma radiofonico Onda Local, Alfredo Zúñiga, collaboratore della Associated Press, Carlos Herrera, fotografo della rivista Confidencial, e un operatore del canale televisivo Canal 100%. Julio Lòpez è ancora ricoverato all’ospedale di Managua per i colpi ricevuti al capo che gli avevano fatto perdere conoscenza.
Sul fronte della protesta popolare, gli studenti della Poytechnic University si sono rifugiati nel campus e a Las Colinas sono state costruite piccole barricate per sfuggire alla polizia antisommossa, opponendo le braccia alzate per non venire colpiti. Molti giornalisti dichiarano di essere stati trattenuti dalle forze di polizia e di aver subito il sequestro delle attrezzature, mentre venivano oscurate anche alcune emittenti televisive indipendenti. Le cronache inoltre registrano la morte di Ángel Gahona, corrispondente del canale 6, colpito – secondo le notizie pubblicate nei loro siti web dalle testate La Prensa e El Nacional – probabilmente da un cecchino mentre registrava in diretta Facebook le manifestazioni che si stavano svolgendo a Blufuelds, un paese nella regione a sud del Paese.
Il Centro nicaraguense dei diritti umani denuncia che sarebbero più di 20 le persone morte e nel bilancio dei disordini si registrano anche saccheggi a negozi e distributori di benzina nel timore di un periodo di tumulti prolungato.
Domenica 22 aprile, il presidente Ortega si è detto disponibile a negoziare sulla riforma, cercando di giustificare l’intervento pesante della polizia provocato dagli atti di violenza; di contro l’Associazione delle imprese private del Nicaragua ha dichiarato che non parteciperà alle trattative con il governo se prima le violenze non cesseranno e verrà ristabilita la libertà di espressione. Anche il Papa, durante l’Angelus domenicale, ha chiesto che le violenze in Nicaragua si fermino ed invitato a risolvere “le questioni aperte pacificamente e con senso di responsabilità”; appello a cui si è unita Liz Throssell, portavoce dell’Alto Commissariato della Nazioni Unite per i diritti umani invitando il governo nicaraguense: “Ad agire per prevenire ulteriori attacchi ai manifestanti e ai media” e a consentire “l’esercizio della libertà di espressione e di riunione e associazione pacifica”.
L’ombra di un colpo di Stato soft made in Usa
Nel corso di un’intervista rilasciata alla catena televisiva latinoamericana TeleSur da alcuni analisti di politica internazionale, le proteste in Nicaragua seguono il copione dei colpi di Stato soft guidati dagli Stati Uniti, sul modello venezuelano. Secondo il giornalista Adolfo Pastrán, infatti, gli atti di violenza testimonierebbero azioni destabilizzanti ordite da membri politici dell’opposizione, infiltrati per creare caos e giustificare la violenza, al fine di spingere il governo a dimettersi. Tesi sostenuta anche dagli analisti internazionali, Sandino Asturias ed Ernesto Wong, che intravedono il tentativo degli Stati Uniti di recuperare spazi perduti negli ultimi anni e di gettare discredito sulla Rivoluzione sandinista che cominciava a rappresentare un esempio per i Paesi limitrofi ed aveva avviato un sistema di relazioni bilaterali e commerciali col resto dell’America centrale, la Cina ed altre economie emergenti.
Alle manifestazioni, in cui 100mila persone sono scese in piazza, è seguita a Managua e in altre città del Nicaragua, una marcia pacifica a cui hanno partecipato decine di migliaia di persone per chiedere la fine delle violenze. Una veglia a Managua ha reso omaggio al giornalista Ángel Gahona.
di Maria Grazia Alibrando