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Sistema Europa, ad un passo dall’inferno

di Salvo Ardizzone

Di questi tempi il mondo delle banche è in subbuglio: si parla di stress test, di ricapitalizzazioni, della rivalutazione di Bankitalia, di bad bank, parole astruse, certo, ma che in un modo o nell’altro, possono toccare, e tanto, la vita di tutti noi.

Vediamo di capirci qualcosa.

Come abbiamo detto in altri nostri articoli, la crisi che ci morde è di origine finanziaria, l’economia reale, quella che produce beni e servizi non c’entra nulla; è nata dall’ottusa avidità delle banche: con i soldi dei propri bilanci, hanno fatto trading proprietario, che in parole povere significa comprare e vendere titoli come qualsiasi speculatore; i loro impieghi erano sfacciatamente sbilanciati su attività speculative (che quando va bene, rendono assai più che prestar soldi alle aziende) e con una leva finanziaria assurda (troppi pochi soldi a garantire le operazioni di speculazione).

Quando istituti di credito enormi (quelli to big to fail, troppo grossi per lasciarli fallire) si son trovati alla bancarotta, sono intervenuti gli Stati, svenandosi per tamponare (badate, tamponare soltanto perché i buchi erano voragini da capogiro) i disastri di quegli speculatori. E questo per evitare che si fermasse l’economia reale, che non può fare a meno del credito delle banche.

Ma non è andata così (anche se, in assenza di quegli interventi, sarebbe andata molto, molto peggio); gli istituti di credito hanno destinato quelle risorse prima a tappare i buchi più urgenti, poi hanno comprato quei titoli sovrani degli stati (Btp, Bonos, etc.) che stavano andando a rotoli sotto l’incalzare della speculazione. In questo quadro, all’economia reale è andato molto poco, briciole, quando sarebbe dovuto andare molto più per parar la botta (in Italia un – 9% ufficiale negli ultimi 2 anni, e se si guarda solo all’economia reale è molto peggio); e anche quella è entrata in crisi. Ma c’è una grande differenza: l’economia finanziaria va e viene, c’impiega poco a tornare a giocare a monopoli in giro per il mondo; l’economia reale, se è toccata duro com’è accaduto, impiega molto, molto tempo a riprendersi se mai riesce a farlo; e con i costi sociali spaventosi che sono sotto gli occhi di tutti.

In più c’è un’altra coda velenosa: privati e aziende, messi in difficoltà dalla crisi, venivano strangolati dal sistema bancario che toglieva il credito quando più ne avevano bisogno, e morivano, lasciando crediti che valgono assai poco. Rimanendo in Italia, secondo l’Abi (Associazione Bancaria Italiana) dal 2008 al 2013 le sofferenze (vale a dire i crediti d’assai dubbia o impossibile riscossione) sono passati da 41.319 mld di € a 155.852! e gli incagli (quelli a rischio) son quasi altrettanti! Una vera esplosione che aggrava ancor di più la situazione delle banche che se li trovano dentro, e anche dell’economia, perché gli istituti di credito, per rispettare i requisiti patrimoniali che impongono di fare accantonamenti a riserva a fronte degli impieghi deteriorati, si trovano costretti ad immobilizzare sempre nuove porzioni di patrimoni già ridotti all’osso, riducendo ulteriormente quello da destinare a coperture degli impieghi destinati all’economia reale, alimentando così un infernale circolo vizioso.

La ragione principale di questa tempesta perfetta, è la mancanza di regole degne d’esser chiamate tali; sotto l’impatto della crisi e l’evidenza sfacciata della pochezza di regolamenti e controlli, s’è cercato di far qualcosa (come riportato in altri articoli), sia in Europa che negli Usa. Inutile dire che le resistenze sono state furiose, sia delle banche, che si vedevano ingabbiate, sia degli stati (Germania e Francia in testa), che non volevano che i panni sporchi (tanti, ma tanti!) dei loro sistemi bancari venissero sciorinati al vento. È di qualche settimana fa lo stop imposto all’Eurogruppo dei Ministri Finanziari a Bruxelles da parte di Berlino e Parigi che, per difendere i loro “campioni” (Deutsche Bank e Bnp Paribas in testa), hanno opposto un secco no alla proposta della Commissione Europea di separazione netta fra attività creditizie e speculative delle banche, con la bufala che i due stati hanno già legiferato in merito.

Sia come sia, la Commissione ha finito per pubblicare una sua proposta, monca, certo, ma che impone comunque alle 30 maggiori banche europee (quelle to big to fail), di non poter fare quel trading in proprio al solo scopo di far profitti, e che l’attività creditizia dovrà esser tenuta separata dalla finanziaria, anche se il modo di poter giungere a questo è lasciato all’autorità nazionale (sarà da ridere vedere come si comporterà Frau Merkel nei confronti di Deutsche Bank o Commerzalbank).

Comunque sia, nel frattempo la Bce non sta con le mani in mano, e, grazie all’istituzione dell’Eba (l’autorità bancaria per cui ci son stati scontri furiosi fra Draghi e la Bundesbank), a maggio avvierà un controllo capillare sui 124 maggiori istituti europei (15 italiani), che coprono circa l’80% del sistema creditizio di 22 paesi. Questi controlli, i famosi stress test di cui si parla tanto, dovranno simulare uno scenario fortemente negativo della durata di tre anni; inutile entrare nei dettagli, sono dannatamente tecnici e scoraggerebbero quasi tutti i lettori (anche se istruttivi sulle possibili porcate delle grandi banche); diciamo solo che gli istituti dovranno avere all’inizio un capitale minimo (l’8% di capitale di base), e dimostrare di non averne perso troppo alla fine (essere scesi sotto il 5,5%).

In realtà è un modo di controllare davvero cosa le varie banche abbiano in pancia: e c’è di tutto, alla faccia delle varie “pulizie” di bilancio che tutte strillano virtuose d’aver fatto. Sarebbe stato impossibile farlo d’un colpo solo, sarebbe semplicemente crollato tutto, facendoci tornare al tempo del baratto o poco più.

I risultati dei test si avranno entro ottobre, e chi non li supera dovrà chiuder bottega o accorparsi ad altri; le strade per evitarlo sono due: la prima, la più immediata, è una forte ricapitalizzazione che innalzi il patrimonio; ma farlo è duro, sia perché son tutte a doverlo fare contemporaneamente, sia perché i tempi son quelli che sono, e ora non è facile a una banca chieder soldi, e tanti, al mercato.

Di qui tutto questo parlare di aumenti di capitale, di consorzi di banche per garantirli, di grandi manovre fra grandi gruppi, d’affannosa ricerca d’investitori esteri, siano fondi sovrani di compiacenti Paesi del Golfo, Russi o altro. Certo, nel breve (riferendoci sempre all’Italia) sono almeno 10/15 mld freschi da racimolare, e son già in programma aumenti di capitale per circa 6 mld; per alcuni di questi, come il Monte Paschi, si tratta di una iniezione di capitali (3 mld) assai superiore all’attuale valore di borsa (2,1 mld). Altri invece (Banca Intesa e S.Paolo Imi) sembra che abbiano in parte ovviato grazie ad altre operazioni.

Per fare un inciso, è questa la motivazione principale della famosa rivalutazione delle quote Bankitalia, che tanto ha fatto parlare: da praticamente sempre, le quote di proprietà della Banca d’Italia sono spartite fra diverse istituzioni finanziarie italiane, che, attraverso la rivalutazione di quelle quote, hanno ora una corposa plusvalenza patrimoniale. Intendiamoci; non è che avesse senso continuare a tenerle ferme ai valori antichi: era ed è ridicolo valutarle 156mila €. Ci sarebbe però piaciuto (e tanto!) che quell’aumento a 7,5 mld (che per inteso è abbastanza congruo), fosse stato finalizzato a impieghi nell’economia reale e non a tamponare buchi creati nel migliore dei casi (ma proprio nel migliore) dall’incapacità a fare il proprio mestiere.

La seconda via per superare gli stress test fa i conti con quell’esplosione delle sofferenze. I crediti inesigibili o quasi, intaccano i patrimoni come abbiamo detto, e renderebbero impossibile (o comunque assai difficile) a molte banche superare gli stress test senza ricapitalizzazioni proibitive. L’idea “brillante” sarebbe quella di creare delle “bad bank” a cui le banche dovrebbero cedere le sofferenze, liberando i propri bilanci da quella zavorra e migliorando rating e patrimonio.

Il come è ancora tutto da discutere: regole, modalità, importi, ma c’è già chi come Intesa, S. Paolo e Mediobanca è già al lavoro sui progetti e chi aspetta che si chiarisca la cosa; potrebbe anche crearsene una sola sotto la regia di Bankitalia (che  però ha già detto chiaro che soldi non ne mette), ma la strada sembra questa, e in fretta, prima che la massa delle “sofferenze” schiacci le banche fino a paralizzarle.

Come si vede è tutto un ribollire. A commento aggiungiamo alcune cose, primo: il pericolo di nuovi sfracelli c’è ancora e ci sarà sempre se non si mettono finalmente regole chiare e stringenti, che limitino (ma realmente!) la speculazione in proprio; se si continua a dargliene la possibilità continueranno a riprovarci, tanto, a danno fatto, sarà problema degli stati ripianar le perdite.

Secondo (e conseguente al primo): occorre separare nettamente le banche commerciali (che fanno attività creditizia) da quelle d’affari (che fanno speculazione finanziaria). Libere di farlo queste ultime (e con regole), ma rischiando soldi e patrimonio proprio, senza intaccare l’economia reale.

Terzo: chi vuol far banca deve metterci i capitali, ma soldi veri, non fingere di farlo; la leva finanziaria (i quattrini a garanzia degli impieghi), perciò, deve essere sostenibile, non estesa all’infinito con furbate contabili.

Quarto: tutto questo rimarrà pia intenzione se non si mette un vero sistema di controllo centrale e indipendente dai “desiderata” dei potenti di turno.

Certo, già sembra di sentirli gli strilli, ma che vadano all’inferno una buona volta, Frau Merkel in testa; tutti abbiamo già dato, e anche troppo.

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