Siria, Bergoglio oscura una servile Europa
È un Vaticano molto attivo quello che in queste ore si sta esprimendo a livello diplomatico; forse, è l’unico stato europeo ad avere una posizione chiara e netta contro il paventato intervento militare in Siria ed è senza dubbio il più dinamico del vecchio continente. Per vedere un’Europa che dica un secco NO all’intervento statunitense, bisogna clamorosamente guardare alla più piccola enclave territoriale che possa esistere, il che vuol dire che nel giro di questi ultimi 10 anni, dalla guerra in Iraq in poi, il nostro continente ha accentuato il principio di asservimento all’impero Usa. Infatti, contro l’intervento in Iraq nel 2003, oltre allo stesso Vaticano, si erano schierate nettamente Francia e Germania, dando una parvenza di opposizione alla scellerata campagna militare di Bush junior. Adesso invece, solo la Chiesa è rimasta a contrapporsi all’ennesima aggressione verso uno stato mediorientale, tutto il resto ha assunto, come massima forma di opposizione, un SI condizionato dall’egida delle Nazioni Unite.
Papa Francesco, assieme al prossimo segretario di Stato vaticano, Parolin, sta rinsaldando le fila e non passa giorno che, carta e penna alla mano (spesso però va anche a braccio nei discorsi), pronuncia frasi contro la guerra in Siria; è accaduto nell’Angelus di domenica, dove ha invitato al digiuno per la pace per la giornata di sabato, era già accaduto altre volte, facendo intuire la propria posizione in merito alla vicenda che sta tenendo il mondo con il fiato sospeso: “Guerra porta guerra” è la principale frase che Bergoglio ha pronunciato in queste settimane. Ma al Pontefice, bisogna dare atto soprattutto di aver saputo rispolverare un’arma che tra le mura leonine era stata leggermente accantonata in questi anni: la diplomazia. Errori grossolani, da questo punto di vista, sono stati compiuti da Benedetto XVI, complice anche l’inettitudine al suo ruolo del Cardinal Bertone, mentre all’epoca di Wojtyla la diplomazia era retta più sul carisma del Papa polacco, che sull’efficienza del corpo diplomatico. Oggi invece, lo stato di Città del Vaticano è molto attivo, contatta entrambe le parti in causa, invita gli ambasciatori in lunghe udienze con la propria segreteria di Stato, insomma questa piccola enclave oltre Tevere sta facendo ciò che l’immensa Unione Europea dovrebbe fare, qualora fosse svincolata dal gioco coloniale americano.
In pochi poi, hanno notato uno strappo evidente rispetto al passato, che soltanto un Papa sudamericano poteva in effetti compiere; sembrano lontani i tempi di quando, in funzione anticomunista, gli Usa di Reagan ed il pontificato di Giovanni Paolo II sembravano aver sancito una sorta di santa alleanza di medievale memoria. Oggi, Papa Francesco critica apertamente la scelta dell’amministrazione americana e si rivolge, con tanto di missiva, direttamente alla Russia di Vladimir Putin; certo, i contatti con gli Usa ci sono, ma è doveroso ricordare che il Santo Padre rappresenta tutti i cattolici del mondo, anche quelli americani, che vedono quindi la loro guida rivolgersi all’antagonista principale del loro presidente. Uno smacco per Obama, che rischia così di essere ancora più solo in questa triste avventura neo coloniale in Siria. Papa Francesco poi, si rivolge anche ad altri cattolici, quelli della sua terra, di quel sud America che in blocco ha parlato di “aggressione e violazione di diritto internazionale” riferendosi al paventato intervento Usa; proprio ieri, in Vaticano è stato ricevuto Evo Morales, il presidente boliviano che Francia e Portogallo qualche mese fa avevano costretto all’atterraggio forzato a Vienna di ritorno dalla visita istituzionale in Russia, su ordine dell’amministrazione Usa, la quale aveva il sospetto che a bordo dell’aereo di stato ci fosse la spia Snowden.
Morales è stato accolto cordialmente in Vaticano ed il comunicato della Santa Sede parla chiaro: “Tra il Papa e Morales si è parlato di Siria e si è condivisa la comune preoccupazione circa la degenerazione del conflitto”. Ecco quindi che la diplomazia vaticana non solo torna protagonista, ma cambia radicalmente la propria posizione ed il proprio orientamento; tornando alla lettera inviata a Putin, in essa si chiedeva al presidente russo, nonché presidente di turno del G20, di utilizzare qualsiasi canale e mezzo diplomatico al fine di evitare il conflitto armato. Ma l’attivismo di Papa Francesco in campo diplomatico, non è tutto sommato sorprendente, ma fa parte dello stile del Pontefice eletto a marzo, il quale non ha mai mancato di affrontare in prima persona ogni questione, a cominciare dalle proprie importanti decisioni sulla Curia e sull’allontanamento di Tarcisio Bertone dalla Segreteria di Stato. Jorge Bergoglio cerca quindi di sfruttare l’influenza della Chiesa Cattolica per impedire il conflitto, facendo tornare il Vaticano protagonista e rispecchiando la figura di un Papa che non si limita a dar benedizioni in piazza San Pietro. Curioso poi, notare come anche la congregazione a cui il Pontefice apparteneva, i tanto “temuti” gesuiti, sembrano anch’essi aver scaricato Obama, forse anche perché il tributo di sangue degli stessi gesuiti in Siria è stato già elevato, con diversi preti della congregazione rapiti o uccisi dai fantomatici “ribelli”, che si vanno ad aggiungere a tanti altri cristiani, anche di altre confessioni, sgozzati perché ritenuti infedeli dai mercenari armati e sostenuti dall’Occidente.
“Credo che l’intervento che si sta preparando in Siria costituisca un abuso di potere – afferma Adolfo Nicolas, capo dei gesuiti (il cosiddetto “Papa nero”) – Devo ammettere che non capisco che diritto abbiano gli Stati Uniti o la Francia ad agire contro un Paese in un modo che senza dubbio aumenterà le sofferenze di una popolazione che ha già sofferto abbastanza”. Obama quindi, incassa altro isolamento, i tempi nel quale l’America quando chiamava alle armi riusciva a raggruppare coalizioni internazionali ampie, sembrano finiti; se però questo vale per il resto del mondo, dove tanti paesi emergenti iniziano a mettersi di traverso dalle velleità a stelle strisce, non vale purtroppo per l’Europa, ancora così supina e reverente verso i colonizzatori e dove, per vedere uno Stato che si opponga con fermezza al conflitto, bisogna cercare tra le stradine oltre Tevere di Roma.
di Redazione