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Siria. Seymour Hersh svela i retroscena del sostegno occidentale ai “ribelli”

di Manuela Comito

Si intitola “”The Red Line and The Rat Line: Obama, Erdogan and the Syrian rebels” l’ultimo articolo di Seymour Hersh che inchioda in maniera definitiva e inappuntabile gli Stati Uniti e la Turchia quali primi finanziatori dei “ribelli”, che negli ultimi tre anni hanno insanguinato la Siria. L’articolo, pubblicato interamente sulla London Review of Books, è stato poi ripreso dal The Indipendent e da Alalam News Network.

Pagine piene di dichiarazioni mai rilasciate prima da fonti dei servizi segreti statunitensi in cui viene preso in analisi il periodo dell’agosto 2013, quando tutto era pronto per attaccare la Siria con una massiccia offensiva militare e, a due giorni dalla data predefinita (il 2 settembre), Obama fa marcia indietro e decide di chiedere l’approvazione del Congresso. Con una descrizione dettagliatissima, Hersh spiega i reali motivi di questo dietrofront del Presidente degli Usa, che nulla hanno a che vedere con le dichiarazioni ufficiali.

Dopo l’attacco con il gas sarin avvenuto il 21 agosto 2013 nel quartiere di Ghouta, a Damasco, un laboratorio militare inglese a Porton Down nel Wiltshire procedette ad analizzare numerosi campioni rilevati sul luogo della strage e l’esito di queste ricerche fu che il gas utilizzato per l’attacco non apparteneva all’arsenale chimico in dotazione all’esercito siriano. Le autorità inglesi, a questo punto, contattarono immediatamente il Pentagono e il Capo di Stato Maggiore delle forze armate, il generale Martin Dempsey, informandoli del risultato delle analisi.

Dempsey riteneva che un attacco sarebbe stato un ingiustificato atto di aggressione e avrebbe provocato il caos in tutta la regione mediorientale e si adoperò per dissuadere Obama dall’attaccare la Siria, ma il Presidente era deciso a procedere senza ripensamenti. Fino al 31 agosto, pur essendo a conoscenza dei risultati del laboratorio di Porton Down, che documentavano la non colpevolezza dell’esercito siriano, Usa, Inghilterra e Francia schierarono navi da guerra e caccia pronti all’offensiva. Ma proprio quel 31 agosto, a soli due giorni dalla data stabilita per l’attacco, cogliendo tutti di sorpresa, Obama chiese che l’ultima parola fosse espressa dal Congresso.

Intanto il segretario di stato John Kerry, durante una conferenza stampa a Londra il 9 settembre 2013, dichiarò che la condizione imprescindibile per scongiurare l’offensiva Usa era che Bashar Al Assad accettasse il disarmo. A questo punto, Vladimir Putin intervenne convincendo il presidente siriano a rinunciare al suo arsenale chimico.
Il ruolo della Turchia, secondo le fonti di Hersh, è chiaramente documentato fin dall’inizio dei disordini in Siria, organizzati e pilotati da Qatar, Arabia Saudita e governi occidentali, con il proposito di sostituire Bashar Al Assad con un capo “più compiacente e sollecito” riguardo agli interessi occidentali.

Le bande criminali che devastano la Siria sin dal 2011 passano principalmente per il confine turco; così come, dopo l’aggressione alla Libia, la base Cia annessa al consolato di Bengasi diventa un centro di smistamento delle armi libiche da inviare via mare in Siria ai Jihadisti attraverso i porti e le frontiere turche.

L’11 settembre 2012, in seguito a un attacco terroristico, viene ucciso il console americano a Bengasi, Chris Stevens, e il “traffico” tra la Libia e la Turchia viene bruscamente ma solo momentaneamente interrotto.
Il presidente turco Erdogan comincia a fare i conti con la realtà, lontanissima dalle sue previsioni e dai suoi propositi: la Siria resiste ancora; l’esercito continua a vincere e a riappropriarsi di quelle che erano divenute le roccaforti dei “ribelli”; il legittimo governo siriano e il suo Presidente Bashar Al Assad possono contare sulla lealtà e sulla fedeltà del popolo siriano.

Le mire di Erdogan che sperava di fare della Siria un’area sotto la sua influenza si infrangono di fronte alla realtà. E’ a questo punto, secondo quanto riferito da Hersh, che Erdogan decide di far passare dalla Turchia i componenti delle armi chimiche destinati ai gruppi dei “ribelli”. Lo scopo è di far ricadere la responsabilità degli attacchi chimici sul governo siriano e innescare l’offensiva Usa, che avrebbe dovuto punire il governo siriano per aver superato la “linea rossa” ed aver utilizzato armi chimiche.

Anche senza prove, come quelle importantissime scaturite dal laboratorio inglese di Porton Down, sarebbe bastato il buon senso a far comprendere che Assad non era né pazzo da lanciare un attacco con armi chimiche che avrebbe provocato una strage tra i suoi militari e il suo popolo, né stupido da farlo proprio in presenza degli ispettori Onu che erano giunti in Siria qualche giorno prima, il 18 agosto, proprio per accertare un eventuale uso di sostanze chimiche.

Purtroppo logica e buon senso nulla possono in confronto ai giochi di potere e così l’opinione pubblica ha preso per oro colato le dichiarazioni ufficiali dei governi occidentali e dei loro alleati regionali, contribuendo a creare il “mostro”, il “sanguinario” Assad e legittimando, in totale malafede, l’aggressione ad uno Stato sovrano e il massacro deliberato di migliaia di vite innocenti.

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