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Israele e i tanti volti della discriminazione

Continue e indiscriminate demolizioni di abitazioni con l’effetto dello sfollamento degli abitanti palestinesi, attacchi giornalieri da parte di esercito e coloni d’Israele e politiche discriminatorie di vario genere; questo è ciò che caratterizza la quotidianità in Palestina.

Secondo un report stilato dall’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) sugli assassinii extragiudiziali, da settembre 2015 al primo marzo 2016 sono stati arbitrariamente assassinati 186 palestinesi e ne sono stati feriti più di 15.000, tra cui 25 bambini. Un altro dato estremamente utile per rendere l’idea della situazione di alta tensione nei Territori Palestinesi Occupati è fornito dal totale degli arresti, la maggior parte dei quali finiscono per essere detenzioni amministrative, oltre 4000 in pochi mesi, o i più di 480 attacchi sferrati dai coloni israeliani contro palestinesi e le loro proprietà. Al momento, almeno il 10% degli oltre 7.000 prigionieri politici palestinesi nelle carceri israeliane si trova in stato di detenzione amministrativa, senza aver subito un processo o sapere con quale capo di accusa si è stati arrestati. In base alla legislazione israeliana, qualunque persona dai 14 anni in su può essere condannata e detenuta con le stesse modalità degli adulti. Addameer, gruppo per i diritti dei prigionieri palestinesi, riporta che sarebbero almeno 406 i minori di 16 anni rinchiusi nelle prigioni israeliane, la maggior parte dei quali accusati di aver tirato sassi, reato per cui è prevista una pena fino anche ai 20 anni di carcere. Dalla fine di ottobre sarebbero circa 300 i minori palestinesi investiti da quest’accusa.

Le demolizioni di abitazioni palestinesi raggiungono quota 323 dall’inizio del 2016, con almeno 440 palestinesi sfollati. La settimana scorsa in un villaggio a sud di Nablus sono state demolite 41 strutture, di cui 12 edifici che funzionavano per fornire assistenza umanitaria a famiglie indigenti. Undici minori sono rimasti senza un tetto. È stata demolita anche la scuola elementare, frequentata da nove bambini, tutto per far posto a una firing zone, zona considerata poligono per addestramento militare.

La difficoltà di frequentare regolarmente la scuola è un altro tratto tipico dei metodi propri di Israele nei confronti dei palestinesi.

Da Al-Khalil (Hebron) al villaggio di At-Twani o a Susiya, i bambini palestinesi necessitano della protezione dei volontari internazionali per raggiungere in sicurezza la scuola o l’asilo. At-Twani è circondato da insediamenti illegali, Ma’on e l’avamposto di Havat Ma’on. Per evitare di essere attaccati dai coloni israeliani che abitano qui, adulti e bambini devono usare percorsi alternativi tenendosi a distanza dalle colonie, normalmente più lunghi e tortuosi rispetto alle strade principali. Conseguenza di questa situazione è l’estrema difficoltà per i bambini di frequentare la scuola, costretti ad affrontare un percorso di un’ora contro i venti minuti della strada diretta, e nonostante ciò restare all’esposizione di attacchi. Simile situazione si riscontra ad Hebron, dove i bambini sono costretti quotidianamente a passare lungo un percorso tortuoso tra macerie e rifiuti, costeggiato da un altro ben asfaltato ma a uso esclusivo dei coloni israeliani.

Come si può crescere i propri figli se fin da piccoli sono costretti a sopportare discriminazioni inenarrabili di questa natura? Colpire i bambini, la loro libertà di giocare e quella di andare a scuola significa rendere impossibile, da entrambe le parti del muro di separazione, che i propri figli siano capaci di non ripetere gli stessi errori dei padri.

di Irene Masala

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