Sicilia: una targa al “primo inquinatore” di Augusta
Riceviamo e pubblichiamo:
Una targa ad un figlio di Angelo Moratti? E per di più ad Augusta? Una provocazione! Senza aggiungere alcun aggettivo. Chi ha avuto questa idea? Il direttore di un giornale locale? La Commissione straordinaria? I Cittadini di Augusta? L’Associazione degli industriali? Chiunque sia stato ha certamente ferito ancora una volta la città di Augusta, specialmente in questo momento così delicato per la nostra Città. Un premio può essere dato solo a qualcuno che nel suo operato è stato solare senza ombre. Purtroppo il signor Moratti il sole lo ha coperto con le nubi dei suoi stabilimenti. Augusta (e non solo essa) sta piangendo un gran numero di morti di cancro a causa dell’inquinamento ambientale ormai da molti anni. Dare un premio, anche se consiste in una semplice targa, al “primo inquinatore” di Augusta, vista la situazione della cittadina siciliana, sarebbe solo un controsenso, e per taluni un insulto. Un premio, sì, va dato: ma alle vittime del lavoro, alla loro memoria; come ha fatto lo Stato con quelli di Marcinelle. E i morti di cancro di Augusta sono molto più numerosi dei minatori di Marcinelle. Ma siamo in Italia, dove, paradossalmente, in una pubblica università si chiama a parlare di sicurezza il capitan Schettino.
Accettando come “normale” questa logica potremmo dare oggi perfino una targa al figlio di Hitler sol perché è stato vincente nei primi anni di guerra, dimenticando i numeri finali del mondiale massacro. Perché, oggi, tante vertenze contro le stesse aziende per cui si è lavorato? Sul banco degli imputati oggi, in alcuni processi, siedono i proprietari di aziende (all’inizio ritenuti benefattori perché avevano portato lavoro) ma, quel lavoro, nel tempo ha mostrato l’altra faccia, producendo malattie e morte, quando i proprietari del solo profitto ne hanno fatto l’unico interesse. Anche se lontane geograficamente da noi lo stesso è accaduto a Casale Monferrato, Taranto, Cengio, Portoscuso, Marghera, Mantova, solo per citare qualche nome, ma nessuno, oggi, si sente solo di applaudire ai proprietari di quelle fabbriche che portarono lavoro: la contestazione, non violenta, pacifica, ferma, è doverosa. E nessuno, autorità o istituzioni, ha il diritto di reprimerla, perché siamo in uno stato democratico. I cittadini di Augusta, credo, vorrebbero sapere qual è il vero motivo per cui è stata lanciata questa provocazione. A qualcuno è saltata la ragione oppure con questo gesto si vorrebbe ulteriormente spaccare l’opinione pubblica di fronte al gravissimo problema ecologico vissuto dalla Città nel disperato tentativo di stroncare o controbilanciare il nascere di una nuova cultura che apertamente rifiuta la logica dell’accettazione passiva dell’inquinamento e dei danni da esso provocati presentati come il giusto prezzo da pagare per avere qualche posto di lavoro?
La celebrazione della Messa del 28 del mese, quella in cui vengono letti uno ad uno i nomi delle vittime del cancro (sono già più di settecento quelli censiti) con la sua rilevanza nazionale, ha certamente contribuito a rompere la cultura della sottomissione rassegnata all’industria. È vero che ad Augusta non tutti la pensano così, e che ancora, per la crisi e per la paura della perdita del posto di lavoro, si accettano determinate condizioni di lavoro, ma è già evidente, che quella sorta muro di paura e rassegnazione omertosa, che ci faceva vergognare perfino a dire che avevamo i malati di cancro in casa o i bambini malformati è stato intaccato e, in un futuro non lontano, è destinato a sgretolarsi, nonostante tutti gli sforzi della controparte.
La spaccatura è ormai avvenuta, generando il conflitto che covava sotto la cenere. Senza voler creare colpevoli, ad Augusta, ormai, si fronteggiano due mentalità: l’una dice: “Io di questo lavoro ci vivo anche se più o meno consapevolmente inquino” e l’altra: “E io perché dovrei morire per salvare il tuo posto di lavoro?”. È stata, insomma, intaccata quella mentalità che ad Augusta dominava incontrastata: “Meglio morire di cancro che di fame”. Purtroppo c’è da temere la reazione delle multinazionali che tenteranno di fuggire da qui approfittando di questa contestazione per andarsene in qualche nazione più ospitale, probabilmente con governi corruttibili o forse sprovveduti, per continuare a produrre, inquinare e a guadagnare ancora lautamente e, magari, evitando di pagare un doveroso risarcimento. Il lavoro in altre parti del mondo costa meno, specialmente se c’è crisi o fame. In Italia, per rispettare i diritti dei lavoratori le multinazionali hanno costi elevati e guadagni ridotti. Ma questo, ai propri lavoratori, le aziende delle multinazionali non lo dicono. Accuseranno (come già fanno) gli ambientalisti adducendo il motivo che non li vogliono; quindi se chiudono le fabbriche la colpa è loro. In Italia, ci sono molti luoghi ancora dove è in atto lo scontro tra aziende e lavoratori: ricordiamo Falconara, Marghera, Mantova, Taranto, Porto Tolle, Piombino, Taranto, Milazzo, Gela, Portovesme. I petrolchimici e certe lavorazioni, sì hanno portato lavoro ed anche un po’ di soldi, ma hanno portato anche “altro”. Ci chiediamo: “Ma la salute e la vita valgono meno del profitto”? Oppure solo Augusta fa ancora eccezione? A Moratti, se vorrete, potrete dare coppe, targhe e medaglie, ma non a nome mio o di Augusta o degli Augustani. Pur essendo stato invitato personalmente a questa manifestazione io non ci sarò, per rispetto dei morti di cancro della mia Città.
Augusta, 16 gennaio 2015
Sac. Prisutto Palmiro