Sicilia, quel che resta di Melilli (e dei siciliani)
Sicilia – Per arrivare a Melilli attraversiamo i ventricoli di una comunità sepolta, quella che viveva sul lungomare. Attraversiamo scheletri paurosi, impianti dismessi, silos di idrocarburi circondati da muri di contenimento. Torrette, ciminiere, pontili e il mare assurdamente primitivo, la penisola di Magnisi a uno sputo dalle petroliere, con i fenicotteri stentorei sulla punta della roccia. Eppure ogni dettaglio è oramai irreparabile, quel mare è guasto per sempre, difficile quantificare anche solo il tempo (crediamo da calcolare in secoli) che occorrerebbe per salvarlo. L’aria è pregna di cattivi odori, ma sono oramai un fatto da assolvere, il castigo rimediato sempiterno, vecchio di almeno sessant’anni.
La gente, a Melilli, muore di cancro, come ad Augusta (Sicilia), e i numeri si sovrappongono. Ma la gente, come ad Augusta, dice: “Meglio morire di cancro, che di fame”. Solo che è una grossa balla, cioè il ricatto occupazionale, a Melilli come ad Augusta, è una grossa balla. Così la gente muore di cancro in attesa di vedere almeno un figlio o un nipote entrare in fabbrica, ma questo non accade più. La dismissione è il passo successivo, il polo petrolchimico in buona parte è passato in mano ai russi. Il paese è sempre più vecchio, i giovani sono quasi tutti emigrati.
Il paese non ha artigiani, non ha una vita commerciale, eccetto qualche bar. Sorge sulle colline degli Iblei, quando arriva il grecale il veleno distribuisce il suo terrore, dalle torrette fin dentro le case, non sempre si intercetta, malgrado si infranga nelle mura del feudo e il veleno soggiaccia per questo sopra il destino di ognuno.
Multinazionali in Sicilia
Il veleno, a Melilli, si chiama vento. Le fabbriche sono lì, basta affacciarsi dal terrazzamento della villa comunale, da nord a sud, fumano, dietro sovrasta il vulcano, qualche volta si intuiscono persino i contorni della Calabria. Non c’è un leader della protesta come don Palmiro Prisutto ad Augusta, il prete pensa alla festa del paese, c’è chi sostiene che le multinazionali ne siano grandi sponsor. Il prete dice no, soltanto per poche cose, il presepe, il grest estivo dei ragazzini.
Mentre a Priolo (Sicilia), qualche chilometro prima di Melilli, le multinazionali sì, dice il prete, sostengono le feste patronali e le manifestazioni sportive. Il prete non vuole essere menzionato. C’è piuttosto una ricercatrice in biologia marina che è la sola resistenza in paese, Mara Nicotra, assessore all’ambiente per appena tre mesi, da maggio ad agosto, nel 2015, poi la notifica del sindaco (Pippo Cannata, nda), la revoca dell’incarico. Perché? “Perché voleva gente competente” dice la donna. Chi meglio di lei? Appunto.
Mara Nicotra aveva già concluso più di uno studio costiero sulle acque e sui sedimenti marini di Melilli e dell’intera rada di Augusta dove il paese insiste, studi che verificavano l’apocalisse in corso. Verifiche iniziate nel 2003 proprio per conto del Comune di Melilli, oggi finite in pubblicazioni scientifiche e in un libro. Il monitoraggio evidenziava la malformazione di specie ittiche di largo consumo (esempio: paganelli con la colonna vertebrale a esse, ricciole, dentici, con la gobba e così via), inquinate da metalli pesanti come il cadmio, il piombo, il mercurio (in quantità 22 volte maggiore del limite di legge), sostanze tutte persistenti e non biodegradabili che dunque erano già entrate nella catena alimentare.
Negligenza e complicità
A Mara Nicotra è morto il padre per un cancro al pancreas, 40 anni di fabbrica. I numeri di mortalità – dicevamo – sono sovrapponibili ai numeri di Augusta. Prima di essere esonerata dall’incarico di assessore, la ricercatrice aveva predisposto la bonifica del lungomare di Marina di Melilli dove non ci sono punti di balneabilità. Bisognava difatti chiudere lo scarico dell’Isab, non autorizzato dal Comune di Melilli. Uno scarico non collettato al depuratore di Priolo e che riversava in mare acque di raffreddamento delle torri (prima interrate), acido solfidrico, acque di Taf. Era una bestemmia vera e propria contro il mondo, non solo contro una comunità di dodicimila abitanti.
La Nicotra scoprì molto altro, ma era sola, i consiglieri in comune per la maggior parte erano impiegati nelle fabbriche, quale dialettica avrebbe potuto sortire un qualsiasi contrordine? Eppure il nemico uccideva sempre e comunque, il benzene, silenzioso, inodore. Le emissioni alle centraline erano incontrollate o adulterate, dal 2003 al 2009, a basso impatto odorigeno, con picchi orari di 800 microgrammi per metro cubo, contro un limite di legge annuo di 5 microgrammi per metro cubo. Mara Nicotra assicura che oggi i dati di emissione superano i parametri tanto quanto, che il sistema insomma è sempre il medesimo. A Melilli, le nascite sono veramente rare, dice la Nicotra, o altrimenti nascono creature anomale, come quei pesci con la spina a forma di esse.
(L’articolo originale è uscito sulle pagine de Il Fatto Quotidiano – edizione di domenica 17 aprile 2016: “Malati di cancro e pesci con la gobba. Melilli ostaggio dei veleni del petrolchimico” ).
di Veronica Tomassini