Shell, la multinazionale a processo
La Shell, compagnia petrolifera anglo-olandese comparirà in tribunale all’Aia. L’accusa, secondo gli ambientalisti che hanno fatto causa al colosso petrolifero, sarebbe quella di violare la legge aumentando l’investimenti in fossile piuttosto che diminuirli. Il tribunale dell’Aia sarà quindi chiamato a decidere quali sono le responsabilità dell’azienda.
Stando agli avvocati di Friends of Hearts la Shell conosceva bene i danni ambientali provocati dall’estrazione del fossile, ma ha ignorato il tutto continuando ad espandere le operazioni. La Shell era a conoscenza del cambiamento climatico sin dagli anni ’50 e conosceva le entità delle sue azioni sin dal 1986 ma nonostante tutto ciò, il centro delle sue attività economiche sono state le estrazioni di carbone, gas e petrolio, incrementando dal 2007 gli investimenti in questo settore.
Non contenta di tutto questo, la Shell si è impegnata in campagne pubblicitarie ingannevoli, non solo, ma si è anche espressa contro le politiche sul clima sostenendo “impraticabile” l’accordo di Parigi. La conseguenza di tutto ciò è che avrebbe volontariamente impedito la graduale uscita dal fossile visto che con le sue operazioni di ricerca la Shell avrebbe violato alcuni articoli della legge olandese, avrebbe altresì commesso violazioni della convenzione europea dei diritti umani sul diritto alla vita e alla vita familiare.
Per Milieudefensie il processo in corso all’Aia avrebbe il potenziale di investire l’intera industria legata all’estrazione del fossile ma per i legali della Shell, invece, il processo non cambierà nulla visto che occorreranno nuove tecnologie e una nuova coscienza dei consumatori. La Shell sostiene che entro il 2050 saranno raggiunti tutti gli obiettivi di sostenibilità prefissati ma la sostanza è che sino adesso, la compagnia, è responsabile dell’1% delle emissioni nel pianeta e continua ad investire in petrolio e gas.
Shell continua a investire in petrolio e gas
Per l’accusa, fissare obiettivi di investimento nelle rinnovabili non è sufficiente se a questi si accompagnano altrettanti investimenti nel fossile. Invece, la tendenza di Shell sembra proprio questa: continuare a investire in petrolio e gas – il suo business principale, come afferma il Ceo – per ogni passo compiuto verso la transizione energetica. Milieudefensie e altre sei organizzazioni vogliono che Shell si impegni a ridurre le sue emissioni del 45% (rispetto al 2010) entro il 2030 e che arrivi a zero entro il 2050.
Parafrasando De Andrè, “non per denaro ma per l’ambiente”, i 17mila cittadini olandesi che hanno portato la Shell in tribunale non chiedono un risarcimento danni, ma “solo” che l’ambiente venga rispettato di più e che la Shell cambi rotta tagliando le emissioni del petrolio e del gas del 45% entro il 2030 in linea con l’accordo di Parigi. In caso di vittoria degli ambientalisti, la compagnia non potrà continuare ad estrarre petrolio e gas ai ritmi attuali. Anche se Shell dovesse ricorrere in appello, questa prima sentenza potrebbe innescare numerosi procedimenti giudiziari simili in tutto il mondo, che eserciterebbero una notevole pressione su altre compagnie.
Questa è la causa del popolo contro Shell, una corporation che l’ha passata liscia troppo a lungo con le sue operazioni di greenwashing. Il procedimento dimostrerà che più del 95% delle attività della compagnia sono causa della crisi climatica. Senza dimenticare che Shell ha una pesante influenza sul nostro sistema energetico. Con il suo potere è in grado di orientare le decisioni politiche, come la costruzione di nuovi gasdotti che ci renderebbero dipendenti dal gas per i prossimi decenni. Se una compagnia come Shell invece optasse per scelte sostenibili, farebbe davvero la differenza.
di Sebastiano Lo Monaco