Seconde generazioni: Il diritto di essere italiani. Intervista a Mohammed
“A casa mia tutti possono votare tranne me perché io sono l’unico immigrato in famiglia, nonostante abbia completato tre cicli scolastici”. Sono queste le parole piene di rabbia di Mohammed Fakir, marocchino che vive a Napoli dal ’97, quando, all’età di 7 anni, in seguito alla richiesta di ricongiungimento familiare, raggiunge il padre emigrato in Italia nel ’90.
“Il giorno in cui arrivai a Napoli ho capito subito che la mia vita avrebbe subìto un profondo cambiamento, un po’ perché era tutto estraneo, un po’ per la lingua che all’inizio si presentò come l’unico ostacolo nel mio processo di integrazione. Però dopo alcuni mesi mio padre mi iscrisse alla prima elementare e da lì imparai bene l’italiano incominciando a fare le prime amicizie. Con i miei amici, sin dal primo approccio, c’è stato un bel confronto e questo ha contribuito al mio avvicinamento alla cultura italiana. Pur conservando vivamente le mie origini, ho imparato subito a vivere da italiano anche perché Napoli l’ho vista come una città accogliente, tra l’altro molto simile a Casablanca, bella, solare, con la sua popolazione calorosa ed ospitale, che ti fa dimenticare anche i suoi difetti”.
Mohammed cresce in Italia, studia in Italia e pur restando legato alla propria terra, si sente italiano. Ma Mohammed per lo stato, dopo 16 anni, è ancora un immigrato. Secondo la legge Bossi-Fini, italiano è chi nasce da padre e/o madre italiani, mentre un extracomunitario può ottenere la cittadinanza solo dopo aver vissuto sul territorio per dieci anni consecutivi, o, se è nato in Italia da genitori stranieri, al compimento dei 18 anni. I genitori di Mohamed sono ormai italiani a tutti gli effetti, mentre il ragazzo, dopo aver fatto richiesta, è in attesa da ben tre anni.
Riguardo al rilascio del permesso di soggiorno, Mohammed spiega che si tratta di un procedimento un po’ complesso che prevede spese abbastanza costose, estenuanti file in questura “nella speranza del breve rilascio di quel pezzo di carta che ci permette di stare qui” e dei requisiti che se non posseduti possono impedirne il rinnovo. Inoltre si rischia un verbale se in qualsiasi momento, sotto richiesta da parte della polizia di mostrarlo, l’immigrato non viene trovato in possesso del permesso.
Più che mai durante le scorse elezioni si è sentito il peso di un’identità non riconosciuta, di questo diritto ad essere italiani negato dallo stesso stato di cui ci si sente parte. “Non poter votare ti fa sentire come uno straniero che non ha il diritto di esprimere il suo consenso e di scegliere chi più lo rappresenta. Oltre al diritto al voto ci vengono negati il servizio civile, il servizio militare e concorsi pubblici”.
Da 4 anni Mohammed è vicecoordinatore del Anolf di Napoli (associazione nazionale oltre le frontiere, http://www.anolf.it/ ), che agisce sia a livello locale che nazionale presso sportelli di immigrazione. Hanno partecipato ad un sit in di fronte la camera dei deputati per ribadire la loro richiesta di riformare la legge 191 del 1992 sulla cittadinanza, hanno svolto numerosi convegni nazionali e partecipato ad un film documentario diretto da Fred Kwornu che è possibile guardare collegandosi a questo link: http://www.youtube.com/watch?v=-KEMgZGojOs&feature=share
Quello di Mohammed è solo uno dei tanti casi che riguardano ragazzi nati o cresciuti in Italia a cui sono negati i pieni diritti e doveri di un normale cittadino, a cui la scadenza di un permesso di soggiorno può comportare l’espulsione dal territorio, come è avvenuto qualche tempo fa a Milano, dove un rom nato e cresciuto in Italia è stato espulso in Serbia, pur non avendo mai messo piede in quel Paese.
La necessità di una riforma è ormai chiara, occorre che la legge italiana non si basi più sullo ius sanguinis,ma sullo ius soli, attribuendo la cittadinanza automatica a chi nasce sul suolo italiano e rendendola più accessibile a chi invece ci cresce.
Le cosiddette seconde generazioni sono da tempo una realtà stabile nel Paese, e come ribadisce Mohammed “non devono essere considerate come un fenomeno di passaggio ma come una realtà solida e una risorsa importante per questo paese. Quella italiana è una legge a dir poco vergognosa e inaccettabile, oltre che discriminatoria. Non siamo stranieri, siamo nuovi italiani”.