Sdf vendute dagli Usa

Le Forze Democratiche Siriane (Sdf) non sono certo da invidiare per la loro situazione precaria, soprattutto ora che l’amministrazione statunitense inizia a mostrare segni di abbandono, lasciandole sole ad affrontare il regime siriano guidato da Ahmed al-Sharaa al-Julani.
Le dichiarazioni rilasciate dall’inviato statunitense in Siria, Tom Barrack, qualche settimana fa, rivelano chiaramente l’intenzione della sua amministrazione di abbandonare le Sdf, che da tempo sognano di raggiungere una confederazione e un’autonomia simili a quelle della regione del Kurdistan iracheno. Barrack ha affermato che le Sdf devono rapidamente rendersi conto che la Siria è un unico Stato, e si è rivolto a loro dicendo: “La strada dei negoziati porta a Damasco. I negoziati per una Siria unificata devono procedere a un ritmo più rapido e con maggiore flessibilità”. Ha accennato alle ambizioni delle Sdf dicendo: “Non si può avere, all’interno di uno Stato indipendente, un’entità separata o non nazionale. Dobbiamo tutti fare delle concessioni per raggiungere il risultato finale: una nazione, un popolo, un esercito e una Siria”.
Sembra che la retorica delle Sdf nei confronti del regime di transizione guidato da al-Julani abbia iniziato a cambiare. Questo avviene dopo giorni di dichiarazioni aggressive da parte dell’ex milizia, che si concentravano sulla condanna dei massacri di Sweida, affermando che non avrebbe abbandonato le armi e insistendo sull’integrazione nel “Nuovo Esercito Siriano” come blocco unico. Ciò contraddice le richieste di al-Julani e del suo primo sostenitore, la Turchia.
Questo cambiamento potrebbe verificarsi nel contesto dei preparativi per un nuovo round di negoziati a Parigi, volto a impedire un passaggio a soluzioni militari che sarebbero distruttive per entrambe le parti e creerebbero il caos in Siria. Sembra inoltre che le Sdf stiano tentando di eludere le pressioni degli Stati Uniti, che spingono per un processo di integrazione accelerato nelle istituzioni di Damasco.
Sdf chiedono aiuto all’Arabia Saudita
Da parte sua, il comandante delle Sdf, Mazloum Abdi, sembra cercare la partecipazione dell’Arabia Saudita come mediatore nei negoziati con Damasco, soprattutto dopo quello che può essere descritto come il fallimento degli sforzi di mediazione americani e francesi tra le due parti.
In un’intervista esclusiva con i canali sauditi Al Arabiya e Al Hadath, Abdi ha affermato che l’Arabia Saudita potrebbe “svolgere un ruolo positivo se fungesse da mediatore, soprattutto considerando il suo ruolo significativo nella revoca delle sanzioni alla Siria”. Ha osservato che i curdi sono preoccupati per l’integrazione nelle forze armate di Damasco senza garanzie costituzionali. Ha riconosciuto che l’accordo del 10 marzo sta procedendo lentamente a causa di alcuni problemi da entrambe le parti e ritiene che i recenti eventi di Sweida indichino l’importanza dei negoziati e del raggiungimento di un accordo.
Mancata attuazione dell’accordo
Riguardo alla mancata attuazione delle disposizioni dell’accordo da parte delle Sdf fino ad oggi, Ilham Ahmed, co-presidente del Dipartimento per le Relazioni Estere dell’Amministrazione Autonoma, ha attribuito ciò alla “mancanza di integrazione e alle differenze nell’interpretazione dell’accordo”. Ha aggiunto che le due parti concordavano sui concetti di integrazione, partecipazione e unità, ma ciascuna li interpretava in modo diverso. Secondo la definizione delle Sdf, l’integrazione deve essere “bilaterale”, il che significa che il governo di Damasco riconosce le Sdf e queste riconoscono il governo di Damasco.
Ahmed ha dichiarato che “le Sdf si rifiutano di deporre le armi alla luce dell’attuale situazione caotica in Siria e considerano il disarmo attualmente equivalente alla morte”. Ha rivelato che “gli attuali accordi con Damasco sono negoziati temporanei e non definitivi” e che “la vera integrazione significa riconoscimento reciproco e rispetto della volontà del popolo e del suo diritto all’autoprotezione”. La copresidente del Dipartimento per le relazioni estere dell’Amministrazione autonoma ha osservato che la sua istituzione “aspira a un sistema decentralizzato che distribuisca i poteri tra il centro e le regioni”.
In definitiva, tutti questi sviluppi confermano che la risoluzione di questa questione resta complessa, data l’insistenza della Turchia (e implicitamente di al-Julani) sullo scioglimento completo delle Sdf, mentre quest’ultime insistono sull’autogoverno.
di Redazione