Come scorre la vita nella prigione di Gaza
Questo articolo mi è stato inviato da Ramy M.Balawi, giovane 28enne insegnante di storia nella Striscia di Gaza.
Come ogni abitante di Gaza, non ha mai potuto mettere piede fuori da quella striscia di terra. Come ogni abitante di Gaza, non ha mai conosciuto la pace o una vita tranquilla. Come ogni suo coetaneo in ogni altra parte del mondo, sogna di viaggiare, di vedere il mondo, di poter migliorare la sua condizione di vita. Sogna di poter sfuggire, un giorno, a questa condizione in cui si trova condannato fin dalla nascita.
Questa è la sua denuncia. La sua preghiera.
La prigione di Gaza
Ciò che di più grande ogni essere umano cerca nella vita è la libertà. Poter vivere nel rispetto dei propri diritti umani. Quando sei prigioniero, la prima cosa che accade è essere privato anche del più semplice di tali diritti, come per esempio quello di poterti spostare da un luogo all’altro. Il diritto di scegliere dove abitare, di vivere in dignità. Il diritto al lavoro, a sposarti, a poter garantire una vita degna ai tuoi figli e alla tua famiglia. Ultimo, il diritto a poter esprimere il proprio dolore quando vorresti urlare per la sofferenza quotidiana.
Noi siamo costretti a gridare in silenzio.
Nessuno può negare che Gaza sia la più grande prigione a cielo aperto della terra. Abitata da quasi 2milioni di persone, è uno dei luoghi più popolosi al mondo, nonostante viva sotto il blocco israeliano da 10 anni. Blocco che sta facendo crollare Gaza e che la renderà un posto totalmente invivibile entro il 2020. Il che significa in meno di quattro anni, secondo un rapporto delle Nazioni Unite.
Gli abitanti di Gaza non potranno lasciare la propria casa quando questa sarà diventata invivibile, come accade in qualunque altro posto quando le persone sono costrette a migrare a causa di guerre o catastrofi naturali. Come accade in Siria, in Iraq e in molti altri luoghi. Gli abitanti di Gaza saranno privati anche di questa opportunità, non potranno fuggire perché imprigionati nel carcere di Gaza. La peggior prigione del mondo, in cui ai detenuti si negano anche i diritti più semplici, riconosciuti a qualsiasi prigioniero.
Non c’è energia elettrica, se non per 8 ore al giorno, nel migliore dei casi. Mentre si registrano totali blackout ogni 12-20 ore al giorno. Nel 95% dei casi l’acqua non è potabile, né purificata. Non si può viaggiare, non si può ricercare una migliore istruzione all’estero. I varchi, le uniche vie d’uscita, vengono aperti solo in poche occasioni. Secondo il ministero degli Interni di Gaza, ci sono almeno 25.000 abitanti in attesa di un visto che gli permetta di uscire. Provare a lasciare Gaza senza visto significa, nel migliore dei casi, essere arrestati o intercettati dalle navi da guerra israeliane ed egiziane. Se provi a opporre resistenza, l’arresto si trasforma in sparatoria.
E questa non è la cosa peggiore.
Il peggio è essere prigionieri senza sapere il perché.
Quale crimine abbiamo commesso?
Quando verremo rilasciati?
Israele controlla tutto ciò che entra ed esce da Gaza. Esiste una lista di prodotti consentiti e una lista delle cose vietate, perché Israele sostiene che i prigionieri di Gaza non ne abbiano bisogno, o possano abusarne.
La disoccupazione ha raggiunto il 60% tra i giovani, il tasso più alto al mondo. Nonostante la buona istruzione del sistema scolastico, il tasso di disoccupazione è cresciuto del 42,7% nella prima metà del 2016.
La ricostruzione, di questo passo, avverrà in non meno di 20 anni. Gli sfollati, causati dall’ultima guerra del 2014, sono ancora 60.000. Nonostante la conferenza del Cairo, finora è stato ricostruito solo il 30% delle case distrutte, per non parlare delle infrastrutture devastate durante gli ultimi tre conflitti.
Gaza è clinicamente morta e sta scomparendo sotto gli occhi inermi del mondo. Il mondo deve ricordare che anche i detenuti di Gaza hanno dei sogni, hanno gli stessi diritti di qualunque altro essere umano. Solo il mondo può concedere agli abitanti di Gaza la speranza per una vita e un futuro migliore.
Testo di Ramy M. Balawi,
di Irene Masala