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Scontro tra governo italiano ed Ue alla base della crisi delle banche

di Salvo Ardizzone

Pochi hanno compreso la portata del violentissimo scontro, mai così aspro, in atto fra il Governo italiano e la Commissione Ue. Con il consueto provincialismo di bottega, la “politica” nostrana vi ha visto solo una polemica sul salvataggio delle banche, che ha messo sul lastrico migliaia di investitori. Nella realtà vi è assai di più: la vicenda dei quattro Istituti di Credito è stata solo il detonatore che ha fatto esplodere le contraddizioni strutturali che possono distruggere l’intero sistema bancario e seppellire l’Unione Europea come è stata sin qui concepita.

In poche parole, la crisi di Banca Etruria, Banca Marche e delle Casse di Ferrara e di Chieti, è solo la conseguenza di storture enormi, la piccola punta di un iceberg colossale che rischia di far affondare non solo l’intero Sistema Italia, ma anche quello di molti altri Paesi e con loro la Ue.

Per comprenderlo partiamo prima dai fatti: è indiscusso che quei quattro Istituti di Credito siano stati gestiti in modo ignobile, vacche da mungere per cricche di “amici degli amici”, ma appurato il danno si trattava di pararne gli effetti per la collettività, e qui sono cominciati i dolori.

Il Governo e la Banca d’Italia avevano tracciato un piano che ricalcava quello già applicato nel 2014 per la Tercas, la Cassa di Teramo (e che la Commissione ha ora bocciato): il valore dei crediti in “sofferenza” (cioè ritenuti difficilmente esigibili) sarebbe stato contabilizzato dai commissari al 40% del loro valore ufficiale; per rimpinguare un capitale falcidiato da quelle perdite sarebbe intervenuto il Fondo Interbancario di garanzia dei depositi, che avrebbe fornito 2,2 Mld salvando capra e cavoli: non si sarebbe trattato di un aiuto di Stato (oggi anatema per la Commissione Ue, che lo ha però permesso alla grande per il salvataggio delle banche tedesche) perché erano soldi delle banche accantonati giusto per queste evenienze. Ci sarebbero state perdite, certo, ma non ci sarebbe stato il disastro e chi aveva prestato denaro a quegli Istituti (cioè chi aveva sottoscritto obbligazioni) sarebbe stato in buona parte tutelato.

Ma qui la Ue s’è messa di traverso con la famosa lettera riservata dei Commissari Hill e Verstager, la cui esistenza è stata negata dagli autori e per risposta pubblicata dal Governo italiano. Al di là degli stucchevoli tecnicismi, Bruxelles ha preteso che le banche venissero “risolte”, vale a dire liquidate all’istante, ponendo il valore dei crediti in sofferenza al 17,6% del loro valore ufficiale.

È in questa differente valutazione il nodo che si è posto: la Commissione ha imposto di valutare quei crediti allo stesso modo in cui lo fanno gli hedge fund, i fondi speculativi, gli avvoltoi della finanza internazionale (e non è affatto un caso). Eppure dietro quei crediti ci sono spesso garanzie corpose: ville, immobili, aziende che possono ripartire se finanziate, insomma beni che possono avere un valore assai rilevante se una struttura apposita avesse il tempo di realizzarlo.

Ma Bruxelles è stata sorda, indicando come unica strada la procedura di “risoluzione” che azzera capitale e obbligazioni (cioè i soldi di chi ha acquistato azioni delle banche o glieli ha prestati); il tutto al costo di 3,7 Mld versati dal Fondo di risoluzione, anche questo costituito da soldi del sistema bancario. E tanti saluti ai risparmiatori che hanno investito il loro denaro.

Ma anche se doloroso per tanti, non è questo il peggio: ostinandosi a fissare al 17,6% il valore dei crediti in “sofferenza”, la Commissione rende irrisolvibile il problema dei circa 200 miliardi di “sofferenze” che blocca il credito alle imprese italiane e rende la ripresa una chimera.

A fronte di quei crediti deteriorati, le banche sono costrette a immobilizzare i propri capitali per garantirli; ciò le impedisce di finanziare i clienti che, privati di liquidità, finiscono per entrare in crisi aumentando il numero dei crediti in “sofferenza”, in un infernale circolo vizioso che si autoalimenta.

Sono stati studiati molti progetti per risolvere il problema, ma con la valutazione imposta da Bruxelles le banche sarebbero costrette a contabilizzare quei crediti a prezzo di realizzo, subendo una perdita secca di almeno 45 Mld che le metterebbe in ginocchio. Gli unici a gioire sarebbero proprio quei fondi avvoltoio che accorrerebbero a frotte per acquistare quei crediti, spolpando i debitori fino al fallimento e realizzando in breve profitti colossali su un cimitero di aziende e alle spalle d’un sistema bancario ridotto all’ombra di se stesso.

Questa situazione assurda, che blocca qualunque tentativo di ripresa, è la conseguenza calcolata di un processo lungo che proviene dritto da Berlino. Il nodo che è dietro il groviglio è quello dell’Assicurazione Europea sui depositi, il terzo pilastro dell’Unione Bancaria, indispensabile per non mandare in pezzi l’Euro e l’Eurozona.

La Germania ha già accettato, beninteso alle sue condizioni, la Vigilanza Unica (il Ssm) e il Fondo di Risoluzione per liquidare le perdite delle banche che dovessero “saltare”; adesso, ottenuto quanto preteso sui primi due punti, ha rigettato la proposta della Commissione perché sia messa in comune la garanzia sui depositi delle banche europee.

Per il presidente della Bundesbank Weidmann e per il ministro delle Finanze Schauble, si potrà parlare di garanzia comune solo quando il peso dei titoli di Stato nei bilanci delle banche sarà sceso di molto; nel caso dell’Italia, Paese che Berlino continua a considerare a rischio massimo, quasi ad azzerarsi. Contemporaneamente gli Istituti dovranno accantonare riserve sempre più massicce per bilanciare l’eventuale crisi dello Stato, che metterebbe a rischio loro e i depositi raccolti dai clienti.

In parole povere, secondo la tesi dei tedeschi, la crisi inevitabile del Sistema Italia travolgerebbe le sue banche facendo scattare le clausole di responsabilità comune, e farebbe pagare il conto alla Germania.

La leadership tedesca sa bene quanto sia sfacciatamente di parte questo ragionamento, anche se si guarda bene dall’ammettere che l’Italia non è costata un solo Euro alla Ue e che il nostro tanto criticato debito pubblico negli ultimi anni è cresciuto di 60 Mld (!) per salvare altri Paesi, e con essi proprio le banche tedesche (e francesi) che non sapevano come rientrare dai crediti che gli avevano concesso con enorme leggerezza (e aggiungiamo per somma avidità).

Inoltre, raccontare che i titoli di debito pubblico di Paesi come l’Italia siano a rischio, e pretendere che le banche se ne liberino in massa è talmente ottuso e irresponsabile che può essere frutto solo di malafede. Il crollo del valore dei Btp italiani farebbe implodere l’intera Eurozona perché, piaccia o no, l’Italia è troppo grande per fallire senza ridurre in briciole l’Euro e non solo.

A meno che…a meno che non sia proprio questo il piano: imporre la ristrutturazione dell’Eurozona, costringendo a uscire gli Stati mediterranei già spremuti come limoni, e proseguendo attorno a un gruppo di Paesi “virtuosi”, ossia perfettamente allineati alle politiche di Berlino.

Qualcuno dovrebbe chiedere a questi “virtuosi” come farebbero ad esportare con una moneta fortissima, ma non importa, è il sogno cocciutamente perseguito dall’elettore tedesco. È questo alla base di tutti i problemi della Ue e dell’Eurozona e che ne determinerà il collasso.

La leadership tedesca vuole rendere l’Euro una fotocopia del Marco, perché così ha promesso alla gente per averne il consenso, malgrado i trattati partoriti dall’intesa franco-tedesca, alla base della moneta unica, dicessero il contrario: la Germania avrebbe rinunciato al monopolio sulla politica monetaria europea e la Francia (con gli altri Stati) avrebbe permesso la riunificazione tedesca.

Da allora è passato molto tempo e la Germania ha conseguito utili incalcolabili dalla gestione incontrastata della Ue e dei suoi meccanismi; potrebbe effettivamente pensare di aver guadagnato già abbastanza e volersi liberare da fastidiosi condizionamenti.

È questo alla base dello scontro, mai così violento, ingaggiato dal Governo italiano (che ha compreso di essere con le spalle al muro e ora combatte per la sopravvivenza) e dalla Commissione a trazione tedesca. Uno scontro che per la prima volta sta facendo emergere ufficialmente quello che era sotto gli occhi di tutti ma sottaciuto, e che sta attirando dietro l’Italia molti dei Paesi che dopo essere stati “spremuti” corrono ora il rischio d’essere scaricati dalla Germania. Dall’esito dipendono le sorti di un Continente.

Fa specie vedere la cosiddetta classe politica italiana, inetta quanto autoreferenziale, estraniarsene del tutto, concentrandosi solo sulle miserabili liti da pollaio per contendersi qualche manciata di voti. Ma si sa. Questa è l’Italia.

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