Palestina

Intifada, venti anni di Resistenza

La seconda Intifada scoppiò nel settembre 2000 in seguito a una visita dell’allora leader del regime sionista, Ariel Sharon, ad Haram al-Sharif (Monte del Tempio) a Gerusalemme. La provocatoria mossa fece scoppiare la rivolta che si concluse nel febbraio 2005 a seguito di una tregua tra israeliani e palestinesi.

Intifada, dalla prima alla seconda a un passo dalla terza

La seconda Intifada non ha ripreso molto della prima e non c’è ragione di credere che lo farà la terza. La prima Intifada è stata relativamente non violenta: i palestinesi avevano poche armi e combattevano principalmente con le pietre. In sei anni di scontri sono morti 160 israeliani, due terzi dei quali civili per la maggior parte coloni, e circa duemila palestinesi. La seconda Intifada fu più letale. I palestinesi avevano più armamenti e la reazione di Israele è stata drasticamente più forte: più di mille israeliani uccisi a fronte di di 4.300 palestinesi.

Con tutta probabilità la terza Intifada, se scoppierà, sarà violenta come la seconda ma probabilmente sarà limitata ai territori occupati della Cisgiordania più che a Israele, sopratutto perché, diversamente dal 2000, oggi molte zone sono delimitate dal muro di separazione.

Il pericolo più grande che Israele corre oggi è invece di tipo politico. Il conflitto israelo-palestinese è tornato alla ribalta, spinto dal movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro Israele (Bds) e dalle sempre più tese relazioni con gli Stati Uniti e l’Unione Europea, sopratutto sul tema degli insediamenti illegali. Anche la situazione mediatica internazionale si mostra più intransigente nei confronti di Israele rispetto al passato. Nel 1987 le persone hanno assistito agli scontri dal salotto di casa, per la maggior parte raccontati dalla Cnn, con un impatto relativamente contenuto. Allo stesso tempo però, per la prima volta, si era mediaticamente invertita l’immagine di Davide contro Golia: questa volta Israele era Golia.

Ruolo dei social media in Cisgiordania

Nella seconda Intifada, internet ha reso la Resistenza palestinese con un’intensità e immediatezza mai conosciute prima. Se dovesse davvero scoppiare una terza Intifada, l’aspetto mediatico sarà esponenzialmente più potente rispetto alla seconda. Smartphone e social media, alla portata di quasi chiunque in Cisgiordania, sono in grado di comunicare in un istante foto, video, tweet della rivolta.

L’immagine di Israele ne uscirebbe a pezzi, come già accaduto dopo l’ultima operazione a Gaza. È vero, per la comunità internazionale è cambiato poco, Israele fa ancora il bello e il cattivo tempo, ma l’economia risponde ad altre regole. Immagini crude che dovessero ritrarre le continue violenze e violazioni dei diritti umani per mesi e mesi avrebbero una ripercussione catastrofica sul turismo, sugli investimenti esteri e sulle esportazioni israeliane. Ed ecco che l’economia potrebbe riuscire dove il diritto internazionale ha fallito, spingendo gli israeliani a mediare con i palestinesi solo per non dover pagare il prezzo della terza Intifada.

Ma gli israeliani possono stare tranquilli, fino a quando i palestinesi non rivolgeranno il problema contro l’Autorità Nazionale Palestinese, prima ancora che contro Israele, la terza Intifada rimarrà soltanto uno spauracchio nelle mani di Abbas e della sua classe dirigente, usato per fingere di esercitare un minimo controllo sull’andamento del conflitto e sulla società civile palestinese. Il resto sono solo sassi che volano.

di Irene Masala e Yahya Sorbello

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