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Sanzioni moderna arma dell’Impero

Quando i cannoni della guerra tacquero dopo la Seconda Guerra Mondiale, emerse un nuovo tipo di campo di battaglia, che non richiedeva eserciti, ma solo firme, decreti e sistemi finanziari. I vincitori del secolo costruirono un ordine globale in cui il potere economico sostituì la spada e le sanzioni divennero le nuove macchine d’assedio dell’era moderna.

Oggi, le sanzioni economiche sono l’arma preferita dalle nazioni potenti contro i loro rivali, impiegate non in conflitti aperti, ma in sale riunioni e parlamenti, prendendo di mira i conti bancari anziché i confini. Mirano a costringere gli avversari a piegarsi, a modificare le politiche o a cambiare posizione senza che venga lanciato un solo missile.

Tuttavia, le sanzioni non nascono da principi morali. Come dimostra la storia, spesso servono i “supremi interessi globali” delle potenze dominanti – principalmente gli Stati Uniti e l’Europa occidentale – proteggendo la loro posizione nella gerarchia economica esistente.

E non si fermano ai governi. Le sanzioni penetrano in profondità nelle società, toccando individui, aziende, scienziati e personalità della società civile. L’economista e storico Nicholas Mulder descrive questa evoluzione nel suo libro “The Economic Weapon”, osservando che le sanzioni moderne sono distintive perché “vengono applicate in tempo di pace, non di guerra”.

Le radici della pressione: l’Iran e il JCPOA

Dalla fine del XX secolo a oggi, due Paesi sono stati colpiti dal fuoco incrociato più feroce delle sanzioni economiche: l’Iran e la Russia.

Dalla vittoria della Rivoluzione Islamica nel 1979, l’Iran ha vissuto all’ombra degli embarghi occidentali. Decenni dopo, nel 2015, il Piano d’azione congiunto globale (JCPOA) ha offerto una fragile tregua: l’Iran avrebbe ridotto l’arricchimento dell’uranio in cambio di un allentamento della pressione economica.

L’accordo annunciò brevemente una distensione regionale e internazionale, ma la promessa si rivelò di breve durata. Nel 2018, l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump stracciò gli impegni di Washington e si ritirò dal JCPOA, riaccendendo la disputa nucleare e lanciando la campagna di “massima pressione” che reimpostò sanzioni radicali.

Sanzioni ad orologeria

Questo capovolgimento di rotta ha eroso la fiducia nelle garanzie statunitensi e ha messo in luce l’incapacità dell’Europa di salvaguardare l’accordo. Al centro della rinnovata controversia c’era il meccanismo di snapback”, una clausola che consentiva il ripristino automatico delle sanzioni ONU contro l’Iran qualora fosse accusato di aver violato gli obblighi nucleari, bypassando qualsiasi nuovo voto del Consiglio di Sicurezza.

Questo meccanismo è stato sancito dalla risoluzione 2231 (2015) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che ha conferito a qualsiasi firmatario l’autorità di attivare il ripristino delle sanzioni entro 30 giorni, a meno che il Consiglio non decida diversamente.

In un’intervista al sito web Al-Manar, l’analista politico iraniano Mehdi Azizi ha spiegato: “Il meccanismo di snapback nasce dal tumulto psicologico all’interno dell’Occidente e dell’entità sionista dopo che il Ministero dell’intelligence iraniano ha rivelato documenti classificati sui legami dell’entità con alcuni Stati arabi e sull’ubicazione delle sue strutture strategiche”.

Azizi ha aggiunto che, con la scadenza della risoluzione 2231, tali sanzioni sono diventate giuridicamente nulle, sebbene il consueto disprezzo di Washington per gli accordi internazionali abbia da tempo reso le sue garanzie prive di significato.

di Hussein Moghniyeh e Safa Ezzeddine

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