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Santa Maria Capua Vetere, “Macelleria messicana”

Quello che è successo nel carcere di Santa Maria Capua Vetere potrebbe essere definita una “Macelleria messicana”. Il carcere, nella sua immagine migliore, le vite le dovrebbe se non salvare almeno migliorare. Da quello che emerge dai video siamo dinnanzi ad un massacro che si può pensare, forse, nelle dittature sudamericane. Le immagini sono eloquenti e richiamano alla memoria un passato non molto remoto. Ritorna alla mente il G8 di Genova, Piazza Alimonda, la scuola Diaz, Bolzaneto.

Detenuti in ginocchio, calci, manganellate, sberle, sputi, insulti, umiliazione, violenza. Questo emerge da quelle riprese che non lasciano spazio a scusanti perché è stato commesso un autentico oltraggio alla vita umana nella sua dignità. Un detenuto è un essere umano degno di rispetto, qualunque colpa possa aver commesso.

Santa Maria Capua Vetere: Le indagini

52 sono le ordinanze di custodia cautelare emesse dall’Autorità Giudiziaria di Santa Maria Capua Vetere. Tutti sono stati sospesi dal servizio mentre il Dap sta valutando ulteriori provvedimenti nei confronti di altri indagati.

Non ci sono solo le botte ma anche la somministrazione di farmaci oppiacei, neurolettici, benzodiazepine, infermieri che si sono rifiutati di curare i feriti. C’è anche un morto, Lamine Akimi affetto da schizofrenia, rinchiuso nel “Reparto Nilo”. Per il giudice si è suicidato. Akimi morì un mese dopo le immagini che si possono trovare in rete ma a subire lo stesso trattamento farmacologico furono altri detenuti che si videro negare la somministrazione dei farmaci.

Dalle chat telefoniche degli indagati emerge un atteggiamento prevaricante, violento contro i detenuti. “Li abbattiamo come vitelli”, “Quattro ore d’inferno!!!”, “Non si è salvato nessuno”, sono queste alcune delle frasi terrificanti ritrovate nel cellulare di uno degli indagati.

Ipocrisia politica

Sono partite le marcie della solidarietà di politicanti come Salvini che “sta con i poliziotti”, senza se e senza ma. Giorgia Meloni vorrebbe abolire del tutto quella legge blanda sulla tortura perché “La polizia deve poter lavorare”, come se il lavoro di chi indossa una divisa sia quello di vessare, picchiare, umiliare il detenuto. Il ministro della Giustizia, Marta Cartabia, “rinnova la fiducia nel corpo di polizia penitenziaria restando in attesa di un pronto accertamento dei fatti contestati”.

Non si può chiedere allora al semplice agente di prendere le distanze dal corpo di appartenenza se le politica è la prima a perpretare l’atteggiamento giustificazionalista. La politica, quella seria, dovrebbe dare l’esempio e condannare quelle immagini invece di andare a cercare il cavillo. Risparmiateci la storia delle mele marce perché ormai è chiaro che non è questione di qualche mela bacata. Il problema sta in chi sceglie quel determinato tipo di frutti e di chi non fa nulla per scartarli dal cesto.

di Sebastiano Lo Monaco

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