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Sanità: stanziamenti al minimo storico

Più che un appello, quello lanciato dai medici e scienziati italiani nella giornata del 7 aprile, è un grido di aiuto disperato. A colpire l’immaginario non è l’ennesima richiesta d’ascolto ma i nomi che hanno firmato quest’appello, come Giorgio Parisi (Premio Nobel), Alberto Mantovani (immunologo), Paolo Vineis (epidemiologo), Silvio Garattini (oncologo) e il presidente del consiglio superiore di Sanità, Franco Locatelli. Oltre i nomi di assoluto pregio, vi è il contenuto del comunicato che critica in maniera aspra le scelte attuate dal governo nella sanità, a partire dallo scarso budget.

A difesa della sanità pubblica

A questo è servito l’appello, l’ennesimo scudo innalzato per cercare di difendere quel po’ che rimane del servizio sanitario nazionale che, nelle scelte della Meloni, si vede decurtato il budget che mette a repentaglio l’esistenza di un welfare universale nato nel lontano 1978. “Il sistema è in crisi”, questo si legge nel comunicato, “vi è l’arretramento di alcuni indicatori di salute come la difficoltà crescente di accesso ai percorsi di diagnosi e cura e l’aumento delle differenze regionali e sociali”.

Il tutto non succede per caso, ma per via di politiche nefaste portate avanti sistematicamente da tutti i governi di tutti gli orientamenti politici che, per via dei costi dell’evoluzione tecnologica e i radicali mutamenti epidemiologici e demografici con le annesse difficoltà della finanza pubblica, hanno fortemente sottofinanziato il SSN al quale, nel 2025 sarà destinato il 6,2% del Pil, meno di quanto stanziato vent’anni fa.

Per la Meloni è un trionfo

Per il capo del governo si tratta di un “trionfo”, perché stando alla sua narrazione il governo è quello che ha stanziato più risorse alla sanità: 136miliardi (+13,9) del 2021, ma quella cifra sparisce dinnanzi a quanto stanziato dalla Germania, 423miliardi e la Francia, 271miliardi.

A parità di potere d’acquisto, la spesa italiana pro-capite risulta meno della metà di quella della Germania. Altro che trionfo, perché se si considerano l’aumento dei prezzi, l’incremento cumulato nell’ultimo triennio, in termini reali è diminuito del 2,2%. È vero che in valore assoluto il finanziamento pubblico alla sanità è cresciuto con la manovra, che ha messo tre miliardi in più per quest’anno e quattro per il 2025, ma i valori nominali contano parzialmente a fronte di uno shock inflattivo e del rialzo del Pil, che fa calare lo stanziamento al 6,27%.

Ben lontano dal 6,8% citato qualche giorno fa. Sempre nel comunicato si legge: “La spesa sanitaria non è in grado di assicurare i livelli essenziali di assistenza (Lea) e l’autonomia differenziata non farà altro che ampliare la forchetta tra le regioni del Nord e quelle del Sud in termini di diritto alla salute. Le regioni che riescono a garantire i Lea sono sempre meno: 12 su 20”.

Assistenza territoriale, l’ennesima utopia

Un’altra delle tematiche toccate nell’appello è quella della Riforma dell’assistenza territoriale con progressi minimi: “Il governo ha tagliato il numero di case da realizzare che dovevano rappresentare l’ossatura del nuovo sistema di cure primarie”. Saranno mille in tutta Italia le case di assistenza territoriale. Il problema è che tra 25 anni quasi due italiani su cinque avranno più di 65 anni e molti affetti da almeno una patologia.

di Sebastiano Lo Monaco

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