Sangue infetto, il “fatto non sussiste”
Il processo sull’incresciosa vicenda del sangue infetto, dopo vent’anni, si è chiuso con l’assoluzione di tutti gli imputati tra cui quel Poggiolini definito il “Re Mida” della sanità italiana, colui alla quale vennero trovati all’interno del caveau della sua abitazione quadri e lingotti d’oro sequestrati dalla Guardia di Finanza. Ad essere assolti anche altri otto tra amministratori e dirigenti di case farmaceutiche che stando alla sentenza non hanno alcuna colpa nell’aver causato i decessi sopravvenuti, dopo l’immissione sul mercato di emoderivati senza alcun controllo.
A Napoli si è chiusa l’ennesima pagina vergognosa della storia repubblicana, per il sangue infetto non vi sono colpevoli. Il processo, aperto a Trento, tra mille rinvìì è arrivato nella città partenopea dove a nulla sono valse le richieste di Stefano Bertone e Ermanno Zancla gli avvocati di parte civile.
Le accuse presentate erano di colpa generica e colpa specifica considerata la sottovalutazione delle misure di prevenzione sulla raccolta e la somministrazione di sangue e plasma non testati per la presenza dei virus e delle epatiti.
All’epoca Poggiolini era direttore generale del servizio farmaceutico che attraverso una rete di agevolazione ed omissioni ha favorito le aziende farmaceutiche Sclavo e Farmabiagini, che immettevano nel mercato prodotti non controllati e rimasti in vendita anche quando ci si accorse della loro pericolosità per la comunità degli emofilici.
Poggiolini in barba a tutto ciò omise di controllare, e a farne le spese furono come sempre i cittadini che già pagavano un prezzo alto vista la condizione di salute non ottimale degli emofilici, che hanno contratto il virus Hiv o differenti forme di epatite. Stessa cosa è accaduta anche a moltissimi talassemici che sono rimaste vittime di un sistema criminale che ha contrassegnato il resto della loro vita. Un problema sottovalutato, nascosto che è stato smascherato nell’arco degli anni con prove inconfutabili che coincise con l’inchiesta di “Mani Pulite”.
Il fatto non sussiste quindi, come se quelle morti non fossero mai avvenute, come se quei farmaci non fossero mai stati messi sul mercato. Ora si attende la motivazione della sentenza che sarà pubblicata entro 90 giorni, ma dalle prime indescrizioni pare che i giudici abbiano accolto la tesi del Pm secondo la quale da un lato non è stato possibile provare in modo “inequivocabile” il collegamento tra le trasfusioni e le malattie che hanno colpito le persone poi decedute, dall’altro lato l’ipotesi che sarebbe stato “ingiusto” condannare gli imputati per quella che è stata definita come “una grave mancanza” di tutto il sistema sanitario nazionale in una sorta di terrificante mal comune mezzo gaudio.
Ci sarebbe da ricordare la battaglia che parenti, associazioni, malati infettati da Hiv ed epatite hanno portato avanti nell’arco di questi anni; dagli anni ottanta in poi si sono svolti migliaia di procedimenti civili intentati da chi ha subito l’onta del sangue infetto, tanto che il ministero della Salute, messo sotto pressione anche dall’Unione Europea, è stato costretto a versare decine di milioni di euro in risarcimenti.
Vi è anche la legge 210/92 che offre un indennizzo economico a tutti coloro che hanno contratto il virus dell’epatite B, C e Hiv, ma vi sono tanti casi ancora pendenti, tanti e troppi sono i pazienti che attendono almeno di veder risarcito un danno che non è monetariamente quantificabile.
di Sebastiano Lo Monaco